Il 31 maggio Roma sarà attraversata da un fiume in piena. Una moltitudine di corpi, di voci, di lotte, che non accetta di rimanere silenziosa e che si oppone con forza e determinazione all’ennesimo attacco liberticida: il cosiddetto “decreto sicurezza”, un dispositivo normativo che si sta già traducendo in repressione, sorveglianza e marginalizzazione.
La giornata del 26 maggio è stata solo un preludio. In quella data, mentre il Parlamento discuteva la ratifica finale del decreto, le strade si sono riempite di corpi che hanno detto no. Non un no generico, non una protesta rituale, ma un grido preciso e consapevole: questo decreto, con il suo impianto autoritario, sta già producendo effetti tangibili nelle nostre città. Arresti preventivi, perquisizioni arbitrarie, limitazioni alla libertà di movimento e di espressione. E, come sempre, sono le soggettività più vulnerabili – migranti, senzatetto, lavoratori informali, attivisti, studenti – a pagarne il prezzo più alto.
Chi parla di sicurezza dimentica – o fa finta di dimenticare – che la vera insicurezza nasce dall’abbandono sociale, dalla precarietà abitativa e lavorativa, dalla povertà crescente. Questo decreto non protegge nessuno, al contrario alimenta un clima di paura, diffidenza e segregazione. È un progetto politico che mira a normalizzare l’eccezione, a far passare la repressione come risposta naturale al disagio sociale.
Ma la risposta sta arrivando, ed è già in moto. Il 31 maggio a Roma prenderà forma una rete che si fa corpo, si fa marea, si fa forza collettiva. Sarà una manifestazione che parla il linguaggio dei numeri, ma non della contabilità sterile dei sondaggi o dei voti in aula. Parla della potenza dei corpi che occupano lo spazio pubblico, che rompono l’isolamento, che si riconoscono e si organizzano. Non sarà una semplice manifestazione: sarà l’esondazione dei numeri, il tracimare della rabbia e della speranza, la dimostrazione che esiste un’altra società possibile e già in cammino.
Chi scenderà in piazza non lo farà solo contro un decreto, ma per riaffermare un principio semplice e rivoluzionario: nessuna sicurezza vale la nostra libertà. Nessuna pace costruita sull’oppressione può chiamarsi giustizia. E nessuna repressione fermerà il desiderio di una vita degna per tutte e tutti.
Il 31 maggio ci troveremo a Roma, e saremo tanti. Perché questa rete non è più solo un intreccio di parole o intenti: è una forza viva, reale, determinata. E non ha alcuna intenzione di fermarsi.