Il manifesto di convocazione della manifestazione del 15 marzo si presenta come un appello alla mobilitazione, ma dietro il linguaggio apparentemente inclusivo e unitario si cela una posizione chiaramente schierata.
Non si tratta di un semplice invito alla riflessione collettiva, ma di un testo che assume una direzione precisa: l’adesione a un nazionalismo di matrice liberale, che enfatizza l’identità europea e l’unità istituzionale come principi fondanti della mobilitazione. Il tutto risponde a un’esigenza chiara dei vertici delle istituzioni europee: ottenere il consenso popolare per le loro strategie di riarmo.
Negli ultimi anni, l’Unione Europea ha progressivamente abbandonato l’immagine di spazio esclusivamente economico e diplomatico per assumere una postura sempre più orientata verso la sicurezza e la difesa. Questo percorso viene presentato come inevitabile, senza margini per alternative pacifiste o per una critica strutturale al riarmo.
La manifestazione del 15 marzo, convocata sotto le bandiere blu europee, non si configura come un momento di confronto aperto, ma come un evento finalizzato a rafforzare una precisa linea politica: quella dell’Europa come potenza militare in costruzione.
Eppure, in questa narrazione, mancano alcuni dei principi ispiratori dei padri fondatori dell’Unione. Oggi, in un contesto globale segnato da grandi sfide e cambiamenti, riaffermare i valori di solidarietà e diritti diventa essenziale.
Serve un’Europa che non sia solo un’unione economica, ma una comunità di persone che lavorano insieme per il bene comune. Un’Europa che investa nei settori essenziali per la vita delle persone: sanità, lavoro, protezione dell’ambiente. Le risorse non possono essere destinate all’aumento della spesa militare, ma devono servire a garantire un futuro più equo e sostenibile.
Non possiamo accettare un’Europa fortezza, chiusa in sé stessa, incapace di accogliere e proteggere. I muri, le divisioni e l’egoismo economico non fanno parte della nostra visione. Al contrario, vogliamo un’Europa solidale, capace di includere, integrare e garantire diritti e opportunità per tutti.
La guerra è tornata in Europa. Le strade delle città ucraine martoriate dai bombardamenti ce lo ricordano ogni giorno. Le tensioni nei Balcani non si sono mai del tutto sopite. Il Mediterraneo resta un confine attraversato da instabilità e violenza. E mentre il linguaggio della politica si riempie di richiami alla difesa comune, agli investimenti nella sicurezza e al rafforzamento militare, la parola “pace” sembra scomparsa dall’agenda pubblica.
Se l’Europa vuole davvero essere il progetto di pace che i suoi padri fondatori immaginavano, non può permettersi di dimenticare questa parola. Non può essere neutrale di fronte ai conflitti, ma deve essere protagonista nel cercare soluzioni diplomatiche, promuovere il dialogo e sostenere iniziative di cooperazione internazionale.
Un’Europa senza pace è un fallimento del suo stesso progetto. È il momento di rimettere questa parola al centro del dibattito, delle politiche e delle mobilitazioni. Perché senza pace, l’Europa rischia di perdere non solo la sua identità, ma anche il suo futuro.