Siamo immersi in una narrazione dominante, martellante, quasi ossessiva: riarmo, difesa comune, missili. Ovunque ci giriamo, il discorso pubblico sembra essere monopolizzato dal lessico della guerra, come se non esistesse altro orizzonte possibile. È un racconto che non nasce dal basso, ma viene imposto dall’alto, orchestrato con precisione dai centri di potere politico ed economico.
A guidare questa spinta bellicista in Europa è una classe tecnocratica sempre più distante dai cittadini, i cui interessi sembrano coincidere esclusivamente con quelli delle grandi industrie degli armamenti. Ursula von der Leyen e i suoi sponsor, con il sostegno silenzioso ma complice della finta opposizione, stanno costruendo un’Europa sempre più militarizzata, destinata a un’escalation continua di investimenti nelle spese militari. Tutto questo mentre il welfare sociale viene eroso, i salari stagnano, e le disuguaglianze aumentano.
L’ipocrisia della politica si manifesta nel gioco delle parti: a parole alcuni schieramenti dicono di voler destinare più fondi alla sanità, all’istruzione, ai servizi pubblici, ma quando si tratta di votare in Parlamento, non esitano ad allinearsi ai diktat dell’Europa del riarmo. Nel migliore dei casi, si trincerano dietro astensioni simboliche, che non scalfiscono minimamente il percorso prestabilito.
Di fronte a questo scenario, restare in silenzio o limitarsi al ruolo di spettatori passivi significa essere complici. È necessario squarciare questa bolla mediatica, rimettere al centro un’agenda di pace e sviluppo sociale, e soprattutto rifiutare la logica del “non ci sono alternative”. Perché le alternative esistono, ma vanno costruite con consapevolezza, mobilitazione e un dibattito pubblico libero da condizionamenti.
Il futuro dell’Europa non deve essere quello di una fortezza armata, sempre più coinvolta in conflitti permanenti. Deve essere quello di una comunità che investe nel benessere dei propri cittadini, nella cooperazione e nella diplomazia. E questo può avvenire solo se la società civile si oppone con determinazione alla deriva militarista, rivendicando un’Europa di pace e solidarietà. Ma per fare questo dobbiamo costruire forme di resistenza attrezzarci per costruire un cammino di conflitto che non può essere una semplice passeggiata o qualche slogan su uno striscione. Dare riconoscibilità e legittimazione a questo percorso altrimenti il rischio è quello di rimanere ininfluenti o peggio ancora travolti dalla stretta repressiva (DDL sicurezza).
Viviamo in Europa non si può far finta di niente