ascolta la diretta

Il territorio è una ferita che parla

Cos’è il territorio, oggi?
Non è una mappa né un confine. È una ferita aperta, un corpo collettivo attraversato da desideri, sfruttamenti, solitudini. È l’eco della libertà promessa e mai mantenuta.
Sul territorio si proiettano le illusioni della società del consumo: la libertà ridotta a scelta, la felicità trasformata in merce, il futuro cancellato dal presente continuo dell’economia.

Ma il territorio resiste.
Respira nei margini, nelle periferie che la città respinge ma da cui dipende.
Lì, dove la politica istituzionale non arriva, si muovono vite che inventano ogni giorno un modo diverso di esistere. Lì si intrecciano le lingue dei nuovi poveri, dei migranti, dei corpi che non si arrendono al silenzio.
Le periferie sono le vene scoperte della città: da lì si misura la temperatura del mondo.

Eppure, da tempo, il conflitto si è dissolto.
Non c’è più la fabbrica come spazio del confronto, né la piazza come voce comune.
C’è la violenza senza conflitto, cieca, individuale, orfana di progetto.
È la rabbia di chi non ha più nome né rappresentanza, di chi non crede più alla promessa democratica, di chi vive il presente come un campo di rovine.
È la rabbia che non costruisce, ma scava.
Il potere l’ha voluta così: atomizzata, senza direzione, incapace di diventare forza.

Ma dentro quel vuoto, qualcosa pulsa ancora.
Il territorio non è solo luogo di abbandono: è spazio di resistenza invisibile.
Nelle occupazioni, nei centri sociali, nelle cucine solidali, nei giardini sottratti al cemento, nei corpi che tornano a parlare — lì la politica torna a essere gesto, pratica, relazione.
Non la politica delle maggioranze e delle deleghe, ma quella della presenza, del qui e ora, dell’impossibile che insiste.

Occorre ricominciare dal territorio come da un linguaggio dimenticato.
Riscoprirlo come corpo comune, come poema collettivo di sopravvivenza.
Non per rappresentarlo, ma per abitarlo, per farlo parlare attraverso le sue fratture.
Perché solo chi conosce le ferite può reinventare la città.
E solo dove il conflitto è stato cancellato, può rinascere — come un canto nuovo, necessario, irriducibile.

Il territorio non è il nostro limite.
È la nostra possibilità.
Il luogo dove la libertà smette di essere parola e torna a essere terra, sguardo, voce.


Tag: