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La Guerra È dei Loro Governi, la Diserzione È la Nostra Lotta

Di fronte agli eventi che hanno scosso il mondo negli ultimi mesi, emerge un dato spaventoso: il genocidio non è più un’eccezione, ma una strategia militare. L’escalation a Gaza – dove migliaia di civili palestinesi sono stati sterminati con il silenzio o la complicità attiva dell’Occidente – non è stato un episodio isolato, ma il prologo di una nuova epoca. Un’epoca in cui la guerra non si dichiara, si espande. E in cui l’umanità, come categoria politica e morale, sembra in dissoluzione.

Dall’eccezione alla regola: Gaza come paradigma

L’offensiva israeliana su Gaza ha mostrato con chiarezza cosa accade quando la comunità internazionale abdica completamente al diritto e alla diplomazia. Si è trattato, come molti osservatori e organizzazioni per i diritti umani hanno definito, di un crimine sistematico: un assedio di massa, bombardamenti su civili, fame come arma. Ma al di là dell’orrore, Gaza ha rappresentato un segnale: il diritto internazionale non ha più alcun valore coercitivo se applicato contro gli alleati strategici dell’Occidente.

Quello che è successo – e continua a succedere – non è stato fermato. Nonostante le denunce, le sentenze della Corte Internazionale di Giustizia, le manifestazioni globali, i governi europei sono rimasti immobili o complici. Questo silenzio ha avuto un prezzo: ha aperto le porte a una nuova logica globale.

L’Iran nel mirino: la prossima fase del conflitto

Oggi la tensione si sposta sull’Iran. Un paese di oltre novanta milioni di abitanti, con una lunga storia di resistenza e un arsenale militare tutt’altro che trascurabile. L’eventualità di una guerra su larga scala contro Teheran non è più remota. Lo scenario che si profila è quello di una mobilitazione generalizzata, una guerra totale in Medio Oriente, con effetti destabilizzanti in tutta l’Eurasia.

A differenza delle guerre “asettiche” del passato recente, qui si profila un confronto aperto tra blocchi geopolitici: Stati Uniti, Israele e alleati da una parte, Iran, Russia e forse la Cina dall’altra. Non più “operazioni speciali”, ma guerra mondiale a bassa intensità in espansione continua. E, come spesso accade, l’Europa si troverà a combattere una guerra che non ha scelto, ma che subisce passivamente.

Europa: disintegrazione interna e militarizzazione

Nel frattempo, l’Europa vive una crisi sistemica. Politicamente frammentata, socialmente polarizzata, culturalmente impoverita, l’Unione Europea non è oggi in grado di offrire una risposta autonoma alla crisi. Anzi, si piega sempre più ai diktat militari della NATO e alle politiche di riarmo. La Francia parla di “economia di guerra”, la Germania stanzia centinaia di miliardi per la Difesa, l’Italia – con un governo di destra estrema – si prepara al peggio.

Il ministro della Difesa italiano ha recentemente dichiarato che, in caso di guerra, tutti i cittadini tra i 16 e i 60 anni potrebbero essere chiamati a combattere. Una chiamata obbligatoria alle armi, un ritorno a un modello novecentesco che credevamo sepolto. In uno Stato che criminalizza il dissenso e marginalizza ogni voce critica, la leva militare obbligatoria non è solo una misura emergenziale: è un segnale ideologico. Preparare i corpi alla guerra significa, prima, militarizzare le menti.

Diserzione e resistenza civile: un dovere etico

In questo contesto, disertare – nella sua accezione più ampia – diventa un atto politico. Non solo rifiutare le armi, ma rifiutare la logica della guerra, l’assuefazione al massacro, l’accettazione passiva del genocidio. Disertare significa anche informare, costruire reti di solidarietà, proteggere la verità in un tempo di propaganda e manipolazione.

La fuga non è codardia, ma sopravvivenza etica. Quando la guerra diventa legge, la disobbedienza è giustizia. E disobbedire può voler dire denunciare, organizzare forme di opposizione , opporsi alla censura, rompere il consenso.

Siamo sull’orlo di una catastrofe globale. L’umanità, se vuole sopravvivere, deve scegliere ora: accettare il mondo come campo di battaglia permanente, o ricostruire un ordine fondato sulla giustizia, sulla memoria storica, sulla solidarietà internazionale. La storia ci osserva. E anche se l’orizzonte è buio, non possiamo rinunciare alla possibilità di un altro futuro.

Perché la guerra non è destino. È scelta politica. E può essere fermata.

 


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