Sabato 26 maggio, a Roma, si celebreranno i funerali di Papa Francesco. Un uomo che, con ostinazione evangelica, ha sfidato i dogmi del potere, le logiche del profitto, i recinti della paura. Un Papa che ha parlato ai poveri, ai migranti, agli ultimi. Un uomo che ha denunciato l’indifferenza globale come il peccato più grave del nostro tempo.
Eppure, tra i banchi delle autorità, tra i velluti e le telecamere, siederà anche lui: Donald Trump. L’uomo che oggi promette di deportare migranti senza processo, di cancellare con un colpo di penna i diritti umani, di costruire muri più alti e più spietati. La sua sola presenza rappresenta un insulto alla memoria di Francesco. Una bestemmia istituzionalizzata.
Cosa viene a fare Trump a Roma? A fingere compassione? A riabilitare la sua immagine nel cuore della cristianità? Viene, , a stringere mani compiacenti, a fare comunella con altri campioni dell’odio e dell’autoritarismo: Viktor Orbán, Javier Milei, Giorgia Meloni. I nuovi sacerdoti del cinismo sovranista.
Sono loro i portatori sani del virus politico che Francesco ha cercato, fino all’ultimo respiro, di contrastare. Ed è proprio per questo che il loro cordoglio suona falso, stonato, velenoso. Verseranno lacrime di coccodrillo mentre nelle loro capitali si moltiplicano i decreti contro i migranti, contro i poveri, contro chiunque non si pieghi alla loro idea di “ordine”.
Nel frattempo, in Italia, la coincidenza temporale con l’80° anniversario della Liberazione dal nazifascismo si fa simbolicamente esplosiva. Perché mentre il Paese dovrebbe raccogliersi attorno alla memoria della Resistenza, ecco che il ministro Musumeci invita alla “sobrietà”. Una richiesta apparentemente innocua, ma che odora di censura morbida. Di revisionismo strisciante. E mentre si celebra Francesco, si tenta di svuotarlo. Si cerca di sterilizzare il suo messaggio, di renderlo compatibile con l’establishment che lo ha sempre temuto. I media della destra lo dipingono come “un uomo di pace”, evitando con cura di ricordare che quella pace, per lui, era fatta di disobbedienza, di scelta di campo . Che non era mai neutrale.
Ma noi no. Noi ricordiamo. Ricordiamo cosa ha detto Francesco sui migranti, sul neoliberismo, sulle guerre. Ricordiamo che per lui il Vangelo era incompatibile con il razzismo, con l’indifferenza, con l’oppressione. E ricordiamo che il 25 aprile non è una data da archiviare con garbo, ma una chiamata alle armi morali.
Trump a Roma è il simbolo di un mondo capovolto, dove gli oppressori si travestono da compassionevoli e gli antifascisti vengono accusati di “fare troppo rumore”.
Ma noi continueremo a farlo, quel rumore. Perché è il suono della memoria viva, della verità che non si piega, dell’eredità di Francesco che non si vende al miglior offerente