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Un fiume di resistenza: la Calabria per la Palestina

Ieri a Cosenza non è scesa in piazza solo una città, ma un’intera Regione che ha scelto di spezzare il silenzio, di alzare il livello dello scontro e di dichiarare con forza da che parte stare: dalla parte della Palestina, dalla parte di chi resiste all’oppressione, contro chi alimenta la guerra e il genocidio.

Il corteo non è stato una passerella né una ritualità svuotata. È stato determinazione, rabbia organizzata, volontà collettiva di non limitarsi a testimoniare ma di incidere. Migliaia di corpi in movimento hanno attraversato le strade di Cosenza come un fiume che non si lascia arginare, segnando una linea di demarcazione netta: o si sta con gli oppressi o si è complici degli oppressori.

Il cuore politico della giornata non è stato solo l’attraversamento delle strade cittadine, ma la scelta coraggiosa e necessaria di bloccare lo svincolo dell’autostrada. Per mezz’ora la normalità si è interrotta. E quella “normalità” non è neutrale: è fatta di silenzi colpevoli, di governi complici, di media che oscurano il massacro quotidiano a Gaza. Bloccare significa dire che non possiamo più accettare di vivere come se nulla stesse accadendo. Significa rompere l’indifferenza, costringere la realtà a fare i conti con la guerra che molti fingono di non vedere.

La Calabria ha dato un segnale che va oltre i confini regionali: la resistenza non è altrove, non è confinata nei luoghi bombardati della Striscia di Gaza. È anche qui, nella capacità di interrompere la passività, di costruire solidarietà concreta, di trasformare la rabbia in organizzazione. Perché la Palestina non è un “tema lontano”: è lo specchio che ci costringe a scegliere se essere complici o ribelli, se accettare un mondo fondato sulla violenza coloniale o costruirne uno diverso, insieme agli oppressi.

Oggi, dopo Cosenza, non possiamo più tornare indietro. Quel fiume che ha attraversato la città non si fermerà: continuerà a scorrere, a crescere, a travolgere muri di ipocrisia e indifferenza. Perché la Palestina vive nella nostra lotta quotidiana. Perché resistere è un dovere, e vincere è possibile.