La Giustificazione della Solidarietà nel Conflitto Sociale: quando i “ma” e i “se” alimentano la Narrazione dominante e la Repressione.
La solidarietà rappresenta uno dei principi cardine su cui si fonda l’idea di giustizia sociale. Tuttavia, la sua applicazione nei contesti conflittuali, in particolare quelli urbani e politici, incontra resistenze e ambivalenze che meritano un’analisi approfondita.
Il problema riguarda il modo in cui il concetto viene rimodulato in relazione alle categorie di innocenza e colpevolezza, nonché il suo rapporto con le forme di dissenso sociale e con la narrazione dominante che le accompagna.
Laddove la solidarietà è rivolta a soggetti percepiti come innocenti e vittime di un’ingiustizia manifesta, essa si palesa in forma incondizionata e assoluta. Quando invece la solidarietà si rivolge a soggetti coinvolti in dinamiche di conflitto, la sua affermazione diventa più complessa e spesso condizionata da una necessità di giustificazione.
Questa dinamica si ripresenta in modo emblematico nelle tensioni sociali urbane, in cui le proteste, soprattutto quelle che assumono forme dirompenti o non convenzionali, vengono immediatamente filtrate attraverso una lente moralizzante che separa i “manifestanti pacifici” dai “violenti”, i “militanti” dai “criminali”. Il risultato è una solidarietà selettiva, ambigua, strumentale.
Questo schema discorsivo ha una duplice funzione. Da un lato, rafforza l’idea che la protesta sia legittima solo quando si conforma ai canoni istituzionali del dissenso (petizioni, manifestazioni pacifiche, dialogo con le istituzioni); dall’altro, isola le forme di conflitto che rifiutano tale cornice, giustificando l’intervento repressivo e impedendo una riflessione sulle cause strutturali del malessere sociale.
Tale logica è visibile in tutte le forme di dissenso che mettono in discussione il paradigma economico e politico dominante. Di fronte a questi fenomeni, la narrazione pubblica si concentra prevalentemente sulle modalità dell’azione, trascurando le condizioni che la determinano. In altre parole, si condanna il sintomo senza interrogarsi sulla malattia.
Questo atteggiamento ha effetti paradossali ma anche danni collaterali evidenti . Eppure nel tentativo di smarcarsi da accuse di collateralismo con il “disordine”, nel desiderio di apparire responsabili e moderati, alcuni esponenti di partiti di centro sx, opinionisti che in questi mesi si affannano a contrastare il famigerato ddl sicurezza prima che passi in Senato, finiscono per legittimare la narrazione dominante: quella secondo cui il problema non è l’ingiustizia, ma la reazione all’ingiustizia. Si finisce così per accettare il presupposto che il dissenso vada espresso solo nei modi e nei tempi concessi dal potere – in forma educata, possibilmente senza disturbare troppo e chi non si adegua è un problema, piuttosto che una vittima.