C’è un documento ( strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti), che parla chiaro — più chiaro di quanto forse qualcuno, in Europa, abbia voglia di ammettere. Un testo che mette al centro la visione del mondo degli Stati Uniti di Trump: una superpotenza convinta che la propria economia, il proprio apparato industriale-militare e la propria enorme forza armata costituiscano un lasciapassare naturale alla supremazia globale. Non una supremazia proposta, discussa, negoziata. No: una supremazia data per scontata, un ordine naturale che dev’essere preservato, anche a costo di usare la forza “per raggiungere la pace”.
In questo disegno, il vecchio continente non è un alleato: è una propaggine, una colonia utile. Trascinata in un conflitto a misura degli interessi statunitensi, ora l’Europa deve comprare armi americane, adeguarsi alla dottrina americana, aprire mercati e portafogli ai prodotti americani. È la logica brutale del vassallaggio mascherato da cooperazione.
E guai a chi osa mettere in discussione questo schema. La Cina? Una minaccia. E, per estensione, una minaccia per chiunque non si pieghi senza esitazione. Se Pechino osa alzare la testa, l’intero “mondo libero” – cioè i sudditi – deve correre a rimetterla al suo posto. L’Europa compresa. Anzi: l’Europa in prima fila, se necessario, perché così ha deciso Washington.
Ma ecco il dettaglio più rivelatore: in tutto il documento, l’Unione Europea non esiste. Sparita. Evaporata. Rimane un generico “Europa”, un’espressione geografica, una massa informe di territori. Un segnale inequivocabile: per Trump e per la corrente di pensiero che rappresenta, l’UE è irrilevante, un orpello, un fastidio o — peggio ancora — una minaccia da marginalizzare.
E qui arriviamo allo scandalo del giorno: politici e commentatori europei che si indignano perché gli USA ci considerano “quasi zero”.
Ma davvero?
Davvero qualcuno finge stupore?
Come si può pretendere rispetto da chi, per decenni, abbiamo assecondato in tutto e per tutto?
Abbiamo accettato basi, guerre, dottrine, regole commerciali, dipendenze energetiche, allineamenti ciechi, senza mai alzare lo sguardo, senza mai rivendicare una sovranità vera. Abbiamo normalizzato un rapporto verticale, e ora ci offende scoprire che, dall’altra parte, ci considerano subordinati? È l’ipocrisia elevata a prassi politica.
E non è certo un mistero che l’Unione Europea, nella visione strategica statunitense, sia sempre stata — se non un nemico — un potenziale concorrente da contenere. Una potenza economica che avrebbe potuto sviluppare una politica estera autonoma, una difesa comune, una voce unica. Proprio ciò che Washington non ha mai voluto vedere emergere. E infatti ci riesce benissimo da anni: divide, frammenta, mette gli uni contro gli altri mentre noi, con obbedienza pavloviana, seguiamo la linea della Casa Bianca.
Dunque oggi, quando a Bruxelles si strappano le vesti per un documento che ci riduce a nota a piè di pagina, una domanda sorge spontanea:
di cosa vi lamentate?
