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Il mondo non è povero, è saccheggiato

Mentre una manciata di miliardari vede moltiplicarsi fortune che sfidano l’immaginazione, miliardi di esseri umani lottano ogni giorno per un pasto.
È la fotografia impietosa del nostro tempo: l’1% più ricco della popolazione mondiale ha catturato il 41% della nuova ricchezza prodotta, lasciando al 50% più povero appena l’1%.
Non è un’anomalia: è il risultato coerente di un sistema costruito per concentrare, non per distribuire.

La promessa di progresso condiviso che aveva accompagnato gli anni Duemila è naufragata nella “tempesta perfetta” di crisi globali — pandemia, guerre, inflazione, debiti, dazi — che hanno devastato i più fragili e arricchito i già potenti.
Ogni crisi è diventata un affare: le emergenze sanitarie, le guerre, la fame, persino la ricostruzione.
Oggi tremila miliardari possiedono una ricchezza pari al 16% dell’intero PIL mondiale.

Un manipolo di individui — abbastanza pochi da riempire un teatro — controlla più risorse di miliardi di persone.
E mentre il primo “trilionario” della storia è atteso entro il 2035, due miliardi e trecento milioni di esseri umani non sanno se domani mangeranno. Trecentotrentacinque milioni saltano già i pasti.

Questa non è una fatalità economica, ma una scelta politica.
Ogni miliardo accumulato da un magnate è un miliardo sottratto a sanità, istruzione, salari, ambiente.
Ogni detassazione dei profitti è un ospedale in meno, una scuola che cade a pezzi, un salario dignitoso negato.

Basta con l’illusione che basti la “crescita” per risolvere la disuguaglianza.
La crescita di chi? Per chi? A quale prezzo?

È tempo di parlare apertamente di redistribuzione, di tassazione della ricchezza, di diritto universale al benessere.
È tempo di rompere la sudditanza verso un’élite che non produce valore sociale ma lo accumula, lo sottrae, lo concentra.

Non è più accettabile che la fame e la precarietà siano il carburante dell’economia globale.
Non è più accettabile che la ricchezza venga difesa come un privilegio naturale, mentre la sopravvivenza diventa una lotteria.

Il mondo non è povero. È saccheggiato.
E finché non lo diremo ad alta voce, finché non ci ribelleremo a questa economia dell’ingiustizia, continueremo a contare miliardari — e a seppellire poveri.


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