C’è qualcosa di profondamente rivelatore nel modo in cui certa politica italiana liquida la Global Sumud Flotilla. Invece di interrogarsi sul perché un gruppo di attivisti internazionali scelga di rischiare la propria libertà – e, in alcuni casi, la propria vita – per rompere l’assedio di Gaza, la destra preferisce la solita scorciatoia: ridicolizzare, etichettare, insinuare. “Radical chic”, “amici di Hamas”, “finanziamenti opachi”: il repertorio è sempre lo stesso. Serve a evitare la domanda vera, quella che brucia: perché nel 2025 esiste ancora una prigione a cielo aperto per oltre due milioni di esseri umani?
La Global Sumud Flotilla non è un’operazione di facciata. È un atto di disobbedienza civile, un gesto di resistenza nonviolenta che porta il nome di sumud, “perseveranza” in arabo. Uomini e donne di ogni età e provenienza salpano con l’obiettivo di sfidare un blocco che, secondo le Nazioni Unite, equivale a una punizione collettiva, vietata dal diritto internazionale. Non trasportano armi né odio: portano medicinali, solidarietà e una verità scomoda.
Liquidare tutto questo come un “carnevale ideologico” serve solo a disumanizzare i palestinesi e a legittimare il silenzio di chi, in Europa, preferisce non vedere. Ma chi deride queste missioni dimentica che la storia giudica severamente chi volta lo sguardo davanti alle ingiustizie. Gli attivisti della flotilla ci ricordano che la neutralità, di fronte all’oppressione, è complicità.
È troppo facile fare i cinici dal divano dei salotti televisivi, mentre altri affrontano l’arresto o i colpi di mitra delle marine militari per far arrivare un messaggio al mondo: Gaza non è sola. Che piaccia o no, ogni tentativo di rompere l’assedio è un piccolo atto di liberazione collettiva, un graffio sulla parete dell’indifferenza globale.
Se davvero vogliamo parlare di finanziamenti, allora parliamo di quelli che alimentano le armi, le bombe, le industrie che prosperano sulla guerra infinita. Parliamo dei miliardi che continuano a foraggiare l’occupazione e il muro di ferro che separa Gaza dal resto del mondo.
La Global Sumud Flotilla ci mette davanti a uno specchio: siamo disposti ad accettare che intere popolazioni vengano isolate e punite? O abbiamo ancora il coraggio di schierarci, di dire che il diritto alla vita e alla dignità non è negoziabile?
Non serve essere “radical chic” per rispondere a queste domande. Serve essere umani.