ascolta la diretta

Milano senza Leoncavallo non esiste

Il 10 settembre 1994, ventimila corpi attraversavano Milano per dire che il Leoncavallo non si tocca. Ventimila voci, ventimila passi che rispondevano all’ennesimo sgombero, mentre in diretta Radio Ciroma insieme ad altre Radio di movimento tenevano viva la memoria e l’immaginario di una città che resiste. I compagni si passavano sacchetti pieni di gettoni telefonici per raccontare da una cabina all’altra ciò che accadeva in piazza: improvvisazione tecnica e determinazione politica, un intreccio che ha segnato un’epoca.

Oggi, cinquant’anni dopo la nascita del Leoncavallo, ci troviamo davanti all’ennesima pagina scritta con la mano pesante dello Stato e la complicità del potere cittadino. Nel 1994 il sindaco era Formentini, leghista, che non esitava a scatenare manganelli e sgomberi. Oggi è Sala, progressista da salotto, che copre con la retorica della “rigenerazione urbana” il vuoto politico e gli scandali che lo travolgono. Cambiano i volti, resta la stessa strategia: cancellare la storia di uno spazio autogestito per spalancare la strada alla speculazione immobiliare.

Il Leoncavallo non è solo un edificio in via Watteau. È la trasformazione concreta di un’enorme area industriale dismessa in un laboratorio di cultura, politica e socialità. È architettura viva, costruita con le mani e le idee di chi ha creduto nell’autogestione, nell’autorganizzazione, nell’autofinanziamento. Non un “vuoto urbano” da monetizzare, ma uno spazio attraversato da decine di migliaia di persone: concerti, assemblee, laboratori, pratiche mutualistiche. Un bene comune che non si misura in metri quadri, ma in legami, complicità e resistenze.

Sgomberare il Leoncavallo significa cancellare cinquant’anni di autogestione, di autonomia, di sperimentazione politica e sociale. Significa sostituire la forza della collettività con la logica del profitto. Palazzi del lusso al posto delle lotte, cemento al posto della cultura popolare, spazi recintati al posto di luoghi aperti.

Eppure la storia insegna: ogni volta che hanno tentato di cancellare il Leoncavallo, esso è tornato. Perché non è un semplice centro sociale, ma un nodo vitale delle resistenze di questa città. È un immaginario che non si sgombera con una ruspa. È la certezza che un’altra Milano esiste, ed è fatta di chi non si arrende alla mercificazione totale dello spazio urbano.

Oggi come nel 1994, la risposta non può che essere collettiva: difendere il Leoncavallo significa difendere l’idea stessa di una città che non si piega. Una città che non appartiene agli speculatori ma a chi la vive, la attraversa, la reinventa ogni giorno.

Il Leoncavallo non si cancella. Il Leoncavallo resiste.


da

Tag: