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Vincere la rassegnazione. Costruire l’alternativa.

La Calabria si avvicina a una nuova tornata elettorale e ciò che emerge, senza troppi giri di parole, è l’ennesima prova di quanto poco i principali partiti nazionali tengano davvero a questa terra. In questi giorni assistiamo al solito teatrino: spartizione di poltrone, nomi tirati fuori dal cilindro senza radici, senza sostanza, senza un’idea chiara per il futuro.

Questa regione vive da anni in una condizione economica post-bellica, senza aver conosciuto una guerra di recente: ospedali al collasso, lavoro che non c’è, intere generazioni costrette a emigrare. Eppure, su tutto questo, silenzio assoluto.

L’aspetto più grave è proprio questo: non ci sono proposte, non ci sono ricette, non c’è un’idea di Calabria. Avremmo bisogno di una ristrutturazione che parta dalle fondamenta, in termini concreti, strutturali e valoriali. Un immaginario che sappia valorizzare questa regione, che dia speranza a chi qui vuole vivere, costruire, riallacciare radici e legami spezzati da un futuro che ci è stato rubato.

È urgente, fondamentale e improrogabile rimettere la Calabria al centro della discussione: infrastrutture, sanità, emigrazione. È di questo che bisogna parlare. Tutto il resto è un totonomi romano, a destra come a sinistra, è la strenua difesa di clientele ormai al tramonto, è il segno evidente della distanza della politica dalla vita reale e, al tempo stesso, la spiegazione della crescente disaffezione dei cittadini.
La sfiducia è talmente profonda che i calabresi si sentono traditi ancora prima che la campagna elettorale abbia inizio.

Ciò che accade oggi è un nuovo schiaffo in faccia ai calabresi: relegati al ruolo di spettatori di una partita già scritta altrove, che con ogni probabilità non sposterà di un millimetro la situazione drammatica in cui versa la nostra regione.

A questo punto, cosa ci rimane da fare?
Vivere passivamente l’evolversi di una sceneggiata, o provare a invertire la rotta?

Lo abbiamo già detto: viviamo in una terra che porta i segni di un dopoguerra senza aver mai combattuto una guerra.
E allora sì, è arrivato il momento di aprirla davvero, questa battaglia, contro chi ha generato e perpetuato questa situazione. È arrivato il momento di unire le forze per costruire un percorso di autentico riscatto.

È arrivato il momento di riscoprirci come un “noi” collettivo, capace di costruire un cambiamento. Un “noi” composto da tutte quelle persone che in questi giorni si sentono parte offesa, un “noi”all’altezza dei nostri desideri e dei nostri bisogni, un “noi” che non si rassegna.

A noi spetta il compito di rilanciare una possibilità di futuro in questa regione, una possibilità che può trovare le radici soltanto in quei movimenti, in quelle persone e in quelle idee che sono fuori dal sistema marcio responsabile dello sfacelo in cui viviamo oggi.
Negli anni abbiamo incontrato, nelle lotte sparse in Calabria, realtà capaci di immaginare davvero un destino diverso per questo territorio.

Se non la costruiamo noi, l’alternativa, chi mai dovremmo aspettare che lo faccia?
Se non è la Calabria vera a riprendersi il protagonismo che le spetta, chi altri dovrebbe farlo al suo posto?

L’isolamento della Calabria non è solo geografico: è il frutto di una strategia politica deliberata, che da decenni condanna la regione a restare divisa, frammentata, irraggiungibile. Muoversi da una costa all’altra, da nord a sud, è un’odissea quotidiana. Ma non è un caso: è il meccanismo attraverso cui si conservano poteri locali, si blindano territori, si impedisce la nascita di un tessuto sociale e politico coeso. Noi partiamo da qui: ricolleghiamo ciò che è stato separato, non con ponti mitologici calati dall’alto e proiettati nel nulla, uniamo i paesi, le lotte, le persone. Organizziamoci, perché solo insieme possiamo rompere l’isolamento a cui ci vogliono condannati.

A noi spetta la costruzione di un’alternativa concreta, comprensibile, conflittuale, contro il sistema che da anni, trasversalmente, dirige le sorti della Calabria.

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