Alex Langer non è la mia generazione e ci si sente anche in imbarazzo a parlare di chi non si è vissuto nella contemporaneità. Si può però crescere nello spirito di una persona o di una idea e scoprirne passo dopo passo percorsi comuni, staffette lanciate e forse mai raccolte.
Alex Langer è trans generazionale nel senso che sconfina nel tempo di un Novecento che sprofonda nei primi decenni del Duemila.
Sconfinare è la prima parola che riecheggia nella vita di Alex. Altoatesino, mix di culture, metà cristiano, metà tedesco, italiano, ebraico. Uomo del border, mescolanza del Limes. Uno sconfinamento di qua e di là non per convenienza ma per vocazione interculturale. Il confine che sboccia in Alex in una capacità politica di sintesi. Alex è pacifismo, ambientalismo, impegno quotidiano nella risoluzione dei conflitti. Il conflitto bosniaco diventa per Alex un terreno dove ritrovare una sintesi, dove fare nascere armonia dalle tensioni. Si legge nei suoi scritti e discorsi una grande impronta al coinvolgimento e alla mescolanza dei popoli, non dovrebbero essere i potenti del mondo a decidere ma le donne e gli uomini, i vecchi e i bambini.
Alex è lentezza come contro narrazione a una società capitalistica e del consumo. Recuperare il tempo del dialogo e della discussione. Più si discute e più si evitano i conflitti. Più si va lenti e meno si consuma.
Alex Langer muore il 3 luglio del 1995.
Alex è la nostra generazione, “una società di persone sole, di consumatori bulimici, di spettatori assuefatti, dagli orizzonti corti e frammentati.”
Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto. Trent’anni senza Alex Langer di A. Bevacqua
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