Non è la sicurezza di Israele che interessa a Netanyahu. Non è la pace. Non è neppure la sopravvivenza del suo popolo, come pretende di far credere. Quello che davvero conta per lui — e per l’élite militare e politica che lo sostiene — è la reputazione. La sua. Quella dello Stato di Israele come potenza impunita, intoccabile, autorizzata a tutto. Anche a massacrare.
Non è Hamas che lo terrorizza. Non è l’Iran. È la verità. È la potenza delle immagini che arrivano da Gaza, i bambini mutilati, i quartieri rasi al suolo, i civili cancellati dalle mappe.
È la potenza della solidarietà internazionale che lo terrorizza. Sono le voci che si sollevano in ogni angolo del mondo per denunciare la pulizia etnica in Palestina. È il coraggio di chi chiama le cose con il loro nome — occupazione, apartheid, genocidio — che lo fa tremare. Per questo risponde nel solo modo che conosce: con la violenza.
E allora reagisce come tutti i regimi in difficoltà: attacca. Sposta il conflitto, alza il livello, incendia nuovi fronti. L’aggressione all’Iran non è autodifesa. È un atto di distrazione di massa. È un fuoco d’artificio di sangue per farci dimenticare Gaza. È un tentativo disperato di togliere dai riflettori il genocidio in corso, per ritornare al comodo copione del “nemico esterno”.
L’Iran colpito con la solita narrazione tossica con lo stesso lessico ipocrita che ha giustificato ogni aggressione degli ultimi vent’anni: Iraq, Afghanistan, Libia, Siria. Non c’è niente di nuovo, solo il reiterarsi della stessa strategia criminale: bombardare per cancellare la memoria. Uccidere per distrarre. Mostrare i muscoli per nascondere la paura.
Per Netanyahu, Gaza non è solo un campo di battaglia. È un campo di sperimentazione del silenzio occidentale. È il luogo dove la violenza può essere portata all’estremo perché nessuno — o quasi — si opporrà davvero. E quando, come in queste settimane, la verità buca la censura e raggiunge le case, i media, le università, le piazze… allora serve un diversivo. Un altro fronte. Un’altra guerra. Un altro nemico da demonizzare.
E subito Trump corre in soccorso, ben lieto di legittimare la violenza con il solito slogan imperialista: “l’attacco è stato eccellente”. Eccellente per chi? Per i produttori di armi? Per i corrotti delle diplomazie? Nessuna parola per i civili palestinesi. Nessuna condanna per il massacro che continua. Nessuna verità sulle responsabilità occidentali. Solo propaganda, solo complicità, solo menzogne.
Nel frattempo, l’orrore cresce. I corpi si ammassano. Le ambulanze non arrivano. I bambini muoiono in diretta. E chi ha ancora il coraggio di parlare viene zittito, represso, criminalizzato. Ma è proprio questo che Netanyahu non capisce: ogni bomba lanciata su Gaza moltiplica la rabbia, la coscienza, la resistenza.
Non c’è equidistanza possibile: chi tace è complice. Chi giustifica è parte dell’ingranaggio. E chi ancora parla di “diritto all’autodifesa” per giustificare crimini contro l’umanità, ha perso ogni contatto con l’etica, con la verità, con l’umano.
La comunità internazionale deve scegliere. Non ci sono più alibi. Non si può essere “neutrali” davanti all’annientamento sistematico di un popolo. Il diritto internazionale non è carta straccia da brandire a convenienza. O vale sempre, o non vale mai. E se vale, allora Netanyahu è un criminale. E chi lo sostiene lo è con lui.
Non ci fermeremo. Non ci faremo distrarre. La Palestina è il cuore aperto del nostro tempo. E finché sarà calpestata, nessuna pace sarà possibile altrove.