Non unire i popoli, ma i fronti
Ci raccontano che sarà il simbolo del progresso. Che unirà il Sud al resto d’Italia. Che porterà lavoro, investimenti, modernità. Ma dietro la retorica trionfale, il Ponte sullo Stretto si rivela per ciò che realmente è: un’infrastruttura bellica mascherata da opera pubblica.
È lo stesso governo ad ammetterlo: il ponte è “strategico” non solo per i trasporti civili, ma per la mobilità militare europea e per la NATO. Un corridoio terrestre per truppe, mezzi blindati, logistica di guerra. In un Mediterraneo che torna ad essere teatro di tensioni geopolitiche, il ponte diventa un viadotto verso i conflitti.
Inoltre, la legittimazione del Ponte attraverso il lessico della “sicurezza” e della “difesa strategica” serve anche a neutralizzare le critiche ambientali, sociali ed economiche che da decenni accompagnano il progetto. Il richiamo alla sicurezza nazionale tende a chiudere ogni discussione democratica, imponendo una narrazione emergenziale che giustifica spese enormi, deroghe legislative e sacrifici territoriali.
Altro che sviluppo: è la militarizzazione del territorio, la trasformazione della Sicilia in piattaforma armata, la normalizzazione dell’emergenza. Non si costruisce per la pace, si costruisce per il controllo. Per il dominio.
E intanto, si criminalizza chi protesta, si silenziano le voci contrarie, si impongono leggi eccezionali in nome della “sicurezza”. Il Ponte non è solo cemento e acciaio. È narrazione tossica, è potere che si autolegittima, è la guerra che si fa paesaggio.
Non ci sono alternative, ci dicono. Ma l’alternativa esiste, eccome: si chiama giustizia climatica, redistribuzione, riconversione ecologica, disarmo. Si chiama diritto a decidere dei territori, si chiama pace.
E allora diciamolo chiaramente:
non vogliamo il Ponte della guerra.
Non vogliamo diventare crocevia di conflitti altrui.
Non vogliamo uno sviluppo che passa sopra le nostre teste con le ruote dei carri armati.
Vogliamo un futuro. E questo futuro non si costruisce con i ponti della NATO, ma con quelli della solidarietà.