In Calabria non si muore solo di malattia. Si muore di abbandono, di silenzio, di vergogna istituzionale. Si muore in pronto soccorso senza medici, nei reparti vuoti di personale, sulle ambulanze che non arrivano, nelle corsie sporche di un sistema ormai completamente collassato. Si muore perché curarsi, qui, è diventato un lusso per chi può permettersi un biglietto del treno o un volo verso il Nord. Per tutti gli altri resta solo la rassegnazione. O la rabbia.
La sanità calabrese ha superato il livello di guardia. Non è più emergenza, è disfatta. Una disfatta costruita nel tempo, mattone dopo mattone, da decenni di malgoverno, commissariamenti inutili, interessi privati travestiti da scelte politiche. Ogni giorno si consuma un nuovo atto di mala sanità, ma ormai non si può più parlare di “casi isolati”: è il sistema stesso ad essere malato. Un sistema che ha tradito la sua funzione, che ha calpestato il diritto alla salute sancito dalla Costituzione, trasformandolo in un privilegio riservato a pochi.
Nel vuoto delle istituzioni sono nati comitati, gruppi spontanei di cittadini, madri, padri, giovani e anziani che si rifiutano di restare in silenzio. Non accettano che i loro cari vengano trattati come numeri, come scarti. Non ci stanno più a vivere in una regione dove lo Stato ha scelto di voltarsi dall’altra parte. Dove le cliniche private spuntano come funghi mentre gli ospedali pubblici crollano, chiudono, si svuotano.
Il 10 maggio la Calabria si alza in piedi. Dallo Stretto al Pollino, sarà un grido che scuoterà le montagne e attraverserà le coste. Non una semplice manifestazione, ma un atto di ribellione civile. Una rivolta di dignità. Perché chi ha perso tutto non ha più paura di niente.
A scendere in piazza non saranno i soliti professionisti della protesta, ma il popolo vero: uomini e donne stanchi di essere considerati cittadini di serie B. Gente che ha visto morire i propri cari per una visita negata, per una diagnosi sbagliata, per un’ambulanza arrivata tardi. Gente che dice basta.
La politica, quella che ha preferito tutelare interessi personali piuttosto che il bene comune, oggi deve ascoltare. Perché se non è in grado di garantire il diritto alla salute, allora ha perso ogni legittimità.
Questa Calabria non chiede più: pretende. Pretende rispetto, pretende giustizia, pretende cure. E soprattutto, pretende verità. Perché la vera emergenza non è la sanità, è l’indifferenza.
Il 10 maggio non voltarti dall’altra parte.. Questa battaglia è tua, è nostra, è di chi ha ancora il coraggio di dire che la Calabria merita di vivere, non di sopravvivere.
Scendi in piazza. Porta la tua voce, la tua rabbia, la tua speranza. Porta il nome di chi non c’è più, ma anche quello di chi verrà. Perché solo un popolo che lotta insieme può cambiare il proprio destino.
Il 10 maggio, scegli di non essere complice. Scegli di essere parte del cambiamento.