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L’eco della Resistenza nel nostro presente

Ogni anno, il 25 aprile ci ritroviamo nelle piazze d’Italia per celebrare la Liberazione dal nazifascismo. Portiamo fiori ai monumenti, ascoltiamo parole di memoria, alziamo canti che parlano di libertà. Ma la Resistenza non è solo un capitolo chiuso nei libri di storia: è una radice viva, che pulsa ancora, e ci interroga sul presente.

Non basta ricordare. Non basta commemorare. Se oggi esistono leggi che colpiscono i migranti, che puniscono la solidarietà, che marginalizzano i poveri e mettono sotto accusa chi dissente, allora quella lotta è tutt’altro che finita. Se si reprimono le proteste, si chiudono gli spazi di partecipazione democratica e si criminalizzano le ONG che salvano vite in mare, allora il fascismo non è solo un ricordo, ma un rischio attuale, che si riaffaccia con volti nuovi e parole apparentemente diverse. Ma l’essenza rimane: il rifiuto dell’altro, la paura come strumento di governo, l’autoritarismo che si traveste da ordine.

La Costituzione, nata da quella stagione di resistenza e speranza, non è un testo da incorniciare: è un progetto aperto, una promessa da realizzare ogni giorno. Dice che la Repubblica è fondata sul lavoro, certo, ma anche sull’uguaglianza, sull’accoglienza, sulla partecipazione di tutti. È lì che ci chiama a essere presenti, non solo spettatori.

Per questo, il 25 aprile non è soltanto una data. È ogni volta che si difendono i diritti di chi è lasciato ai margini. È ogni volta che si lotta per una scuola aperta e per una sanità accessibile. È ogni volta che si sceglie l’umanità, anche quando costa. È quando ci si oppone alla violenza, al razzismo, alla censura, alla disuguaglianza. È quando si prende posizione, senza ambiguità.

Oggi, più che mai, non possiamo fermarci alla memoria. Dobbiamo trasformarla in impegno. Perché la Resistenza non è solo un’eredità: è una responsabilità. E il 25 aprile è adesso


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