L’Italia sta attraversando un momento critico per le libertà fondamentali dei cittadini. Il recente Decreto Sicurezza, approvato dal Consiglio dei Ministri e immediatamente entrato in vigore, rappresenta uno dei più significativi restringimenti della libertà di manifestare nella storia repubblicana. La decisione del Governo Meloni di adottare la via del decreto legge, bypassando il normale iter parlamentare e imponendo un limite massimo di 60 giorni per la conversione in legge, conferma una svolta autoritaria del Governo di estrema destra che ha suscitato allarme non solo in Italia, ma anche presso organismi internazionali come l’ONU, l’OSCE e il Consiglio d’Europa.
Il Decreto Sicurezza introduce una serie di misure che, nonostante il tentativo di mascherarle dietro la propaganda della sicurezza dei cittadini, hanno un chiaro intento repressivo:
-
Divieto di vendere SIM telefoniche agli immigrati irregolari, una norma che non solo limita le loro possibilità di comunicazione, ma potrebbe anche pregiudicare il diritto alla difesa legale e all’accesso a servizi essenziali.
-
Abolizione della discrezionalità del giudice per le madri detenute, una misura che potrebbe avere gravi conseguenze sul benessere dei minori coinvolti.
-
Introduzione del reato di rivolta in carcere, che criminalizza ulteriormente chi protesta contro condizioni di detenzione spesso disumane.
-
Aggravante “no ponte” per chi si oppone alle grandi opere, un chiaro tentativo di intimidire le mobilitazioni territoriali contro progetti contestati dalle comunità locali.
-
Obbligo per università e pubbliche amministrazioni di collaborare con i servizi segreti, una norma che rischia di compromettere la libertà accademica e l’autonomia delle istituzioni pubbliche.
L’approvazione del decreto ha scatenato un’ondata di proteste. Decine di manifestazioni si sono svolte in tutto il Paese, dal Nord al Sud, raccogliendo l’indignazione di migliaia di cittadini, studenti, lavoratori e attivisti. Il messaggio è chiaro: i movimenti sociali non intendono rimanere in silenzio di fronte a un attacco così grave alle libertà fondamentali.
L’inasprimento delle misure repressive non è un fenomeno isolato, ma si inserisce in un contesto più ampio di restringimento degli spazi democratici in Italia e in Europa. La criminalizzazione della protesta sociale è un segnale preoccupante di una deriva autoritaria che non può essere ignorata.
Le critiche mosse da organismi internazionali come l’ONU e il Consiglio d’Europa dovrebbero far riflettere sullo stato di salute della democrazia italiana. Il diritto alla protesta è uno dei pilastri di ogni società libera. La partita, tuttavia, non è chiusa. La mobilitazione diffusa di queste ore dimostra che esiste ancora chi è disposto a difendere il diritto fondamentala di manifestare per opporsi a questa deriva autoritaria..
La difesa della libertà di espressione e del diritto di protesta non è solo una battaglia politica, ma una questione di dignità e giustizia per l’intero Paese.