L’esito del conflitto tra Ucraina e Russia era ampiamente prevedibile, nonostante gli esperti di strategia militare abbiano continuato a prospettare una trionfale vittoria ucraina. Il presidente Volodymyr Zelensky, esibito in ogni contesto internazionale come il paladino della difesa della democrazia occidentale contro l’aggressione russa, oggi viene scaricato e umiliato dopo tre anni di guerra, con decine di migliaia di morti da entrambe le parti.
Il conflitto in Ucraina rappresenta un punto di svolta per la geopolitica globale, accelerando la frammentazione dell’ordine internazionale. L’attuale scenario segna la fine di un’era caratterizzata dall’egemonia di una narrazione bellicista. L’emergere di un nuovo asse autocratico, il progressivo cedimento delle certezze strategiche occidentali e la polarizzazione interna delle democrazie liberali stanno spezzando quell’unità artificiale che ha dominato il dibattito pubblico negli ultimi tre anni.
In questo contesto, Donald Trump usa tutto il suo potere per gestire la guerra in Ucraina secondo una sua impostazione autocratica, tipica della cultura imperiale. Vladimir Putin diventa il suo interlocutore privilegiato. L’ipotesi di un cessate il fuoco si fonda sull’assioma che il negoziato sia frutto di un confronto tra due imperialismi, escludendo l’Ucraina. Trump ha definito il presidente ucraino un “comico mediocre” e un “dittatore non eletto”, colpevole di aver voluto la guerra. Gli fa eco Elon Musk, affermando che “Volodymyr Zelensky si è nutrito dei morti ucraini”. Gli Stati Uniti applicano uno schema già collaudato in altri contesti: usare gli alleati finché servono, per poi abbandonarli al loro destino.
Domani, nell’incontro previsto tra Trump e Zelensky, il tycoon presenterà il conto con un contratto capestro che segnerà la fine della presidenza ucraina. Questa situazione ha messo in evidenza la vulnerabilità strategica dell’Unione Europea, esclusa dai tavoli delle trattative e costretta a fare i conti con tre anni di guerra nel cuore del continente. Il conflitto ha aggravato le difficoltà economiche, con inflazione e caro energia che hanno alimentato un diffuso malcontento sociale.
Questa crisi ha offerto terreno fertile a movimenti populisti e sovranisti, che sfruttano il disagio per proporre narrative di chiusura e protezionismo economico. La nuova destra estrema in Europa sta capitalizzando questo malcontento, riuscendo a imporsi come alternativa credibile. Il dilemma di un’opposizione sociale efficace a questa deriva è evidente: adattarsi o proporre uno scontro che favorisca una radicalizzazione basata su una visione alternativa, capace di intercettare il disagio sociale senza cadere in semplificazioni populiste.