Ancora una volta, il governo Meloni si trova a fare i conti con un ennesimo fallimento nella gestione delle politiche migratorie. La recente decisione della Corte di Appello di Roma, che ha negato la convalida del trattenimento nel CPR di Gjader per le 43 persone migranti deportate in Albania, rappresenta non solo una sconfitta giuridica, ma anche un duro colpo politico per l’esecutivo.
Sin dall’annuncio del Protocollo Italia-Albania, molte voci critiche si erano sollevate per evidenziare le sue evidenti criticità giuridiche. La stessa Corte di Appello, nel suo pronunciamento, ha deciso di rinviare il caso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in cui è già pendente una richiesta di giudizio che sarà discussa il prossimo 25 febbraio. Questo ulteriore passaggio conferma i dubbi sollevati da numerosi giuristi, i quali avevano già anticipato la scarsa sostenibilità legale del Protocollo.
Il governo Meloni ha cercato di rafforzare la propria narrazione securitaria puntando su misure simboliche di “fermezza” nei confronti dell’immigrazione, ma il caso Cassiopea dimostra come tali iniziative si scontrino con il muro della legalità e del rispetto dei diritti umani. La recente conversione in legge del Decreto Flussi (DL n. 145/2024) con l’introduzione del cosiddetto “emendamento Musk” ha trasferito la competenza giuridica dal Tribunale Civile di Roma alla Corte di Appello, ma questo cambio non ha impedito la battuta d’arresto subita dal Protocol
Oltre ai problemi legali, il Protocollo Italia-Albania si sta rivelando un’operazione fallimentare anche dal punto di vista pratico ed economico. L’idea di esternalizzare la gestione dei migranti in un altro Paese, oltre a sollevare dubbi di legittimità internazionale, comporta costi elevatissimi per lo Stato italiano senza alcuna garanzia di efficacia. Il ritorno in Italia delle persone deportate dimostra, ancora una volta, come queste politiche siano costruite più sulla propaganda che su un’effettiva capacità di gestione del fenomeno migratorio.
Uno degli aspetti più problematici del Protocollo Italia-Albania riguarda la compatibilità con il diritto dell’Unione Europea e con le convenzioni internazionali sui diritti umani. Secondo diversi esperti di diritto, il trasferimento forzato di migranti in un Paese terzo senza un’adeguata garanzia giuridica può costituire una violazione del principio di non-refoulement sancito dalla Convenzione di Ginevra. Inoltre, il Protocollo potrebbe essere in contrasto con le direttive europee in materia di asilo e protezione internazionale.
La decisione della Corte di Appello di Roma di rinviare la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea è un segnale chiaro dell’incertezza giuridica che avvolge l’intero accordo. Se la CGUE dovesse esprimersi in senso negativo, il governo italiano si troverebbe costretto a rivedere completamente la propria strategia, subendo un ulteriore smacco politico.
La decisione della Corte di Appello non rappresenta solo una sconfitta per il governo, ma un’importante riaffermazione del rispetto dei principi di diritto. L’intervento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea potrebbe sancire definitivamente l’illegittimità del Protocollo, costringendo il governo a rivedere la propria strategia in materia di immigrazione.
Più che puntare su misure repressive e sulla criminalizzazione dei migranti, bisogna investire su politiche di accoglienza, integrazione e cooperazione internazionale efficaci. Solo così si potranno affrontare in modo concreto e sostenibile le sfide della migrazione, evitando soluzioni inefficaci e dannose come il Protocollo Italia-Albania.