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L’oblio programmato

C’è una forma di stanchezza morale che in Italia conosciamo fin troppo bene: quella che ci fa commuovere a intermittenza, indignare a tempo determinato e poi tornare rapidamente alla distrazione di sempre. È un meccanismo rodato, quasi automatico. Si accende una fiammata di attenzione, si riempiono i social, si marcia nelle piazze, si cita qualche voce autorevole. Poi, come quando finisce la stagione di una serie, si cambia canale. Fine della passione civile. Inizio del palinsesto dell’irrilevante.

È quello che è accaduto di nuovo con Gaza e la Cisgiordania. Per settimane sembrava impossibile parlare d’altro: l’eco delle mobilitazioni della Flotilla, l’ondata di prese di posizione, le critiche verso il governo israeliano, la discussione intorno al ruolo dell’ONU e, in particolare, gli attacchi contro Francesca Albanese, che ha continuato a denunciare violazioni e sofferenze nonostante una tempesta di polemiche personali.

Poi è successo ciò che accade sempre: l’interesse si è dissolto. Un attimo prima l’urgenza morale, un attimo dopo la rassegnazione del «tanto non cambia nulla». Qualche corteo, un paio di editoriali autoassolutori sui “giovani più sensibili”, e poi la puntuale fuga nel chiacchiericcio quotidiano, nelle polemiche leggere, nelle piccole ossessioni da talk show.

Intanto, sul terreno, la realtà non ha smesso di mordere.

Oggi a Genova, all’interno dello sciopero, portuali e attivisti sono tornati in strada per ricordare che la crisi non è affatto finita. Con loro c’erano Greta Thunberg e Francesca Albanese. Quest’ultima ha parlato di un “testamento di solidarietà” per una popolazione che continua a soffrire e morire, denunciando come l’idea stessa di un cessate il fuoco sia, a suo giudizio, un’illusione burocratica. Albanese ha rinnovato il suo appello internazionale a fermare ciò che definisce un genocidio.

E allora la domanda diventa inevitabile: chi ascolterà davvero questo appello? Chi avrà la forza di opporsi al grande sonno collettivo, alla normalizzazione dell’orrore, all’abitudine comoda del voltarsi dall’altra parte?

Perché il problema non è solo la violenza che continua a colpire la Palestina. Il problema è la violenza silenziosa della nostra distrazione. È l’indifferenza che si traveste da pragmatismo. È quella capacità tutta italiana – a volte tenera, a volte colpevole – di sospirare per un attimo e poi archiviare l’argomento come fosse una moda, una tendenza social scaduta.

Non tutti si arrendono, certo: ci sono persone che non hanno mai smesso di parlare, di informare, di esporsi, di pretendere responsabilità e giustizia. Sono voci minoritarie, ma ostinate. Voci che non si rassegnano al ritmo lento e sonnambulo del dibattito pubblico.

La verità è che ogni società sceglie, più o meno consapevolmente, dove guardare e dove chiudere gli occhi. E noi, qui, troppo spesso abbiamo scelto la comodità dell’angolo buio.

La domanda finale è semplice e terribile: quando qualcuno ci chiama a svegliarci, siamo ancora in grado di farlo?


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