Ogni estate si supera. Il termometro schizza in città che una volta conoscevano le stagioni. L’asfalto si scioglie, i corpi si spezzano. Eppure, c’è ancora chi ha il coraggio di parlare di “allarmismo climatico”, di “eco-balle”, mentre i cantieri si trasformano in forni e le strade in trappole mortali per chi lavora. La crisi climatica non è il futuro, è il presente – e chi nega è complice.
Parliamo dei lavoratori. Degli operai nei cantieri esposti al sole cocente, dei manutentori, degli addetti alla nettezza urbana, dei rider che pedalano tra i SUV a 42 gradi per consegnare sushi e pizze che non possono aspettare. La loro sicurezza non è nemmeno discussa: il lavoro deve continuare, a ogni costo. I centesimi di aumento promessi da piattaforme come Glovo sono un insulto, una beffa, uno sputo in faccia a chi rischia la pelle per garantire comfort agli altri.
Invece di adattare gli orari, di fermare i lavori nelle ore più calde, di imporre una vera protezione sociale, si finge che nulla stia accadendo. Le morti per caldo sono silenziose. Non fanno notizia, non commuovono. Non ci sono cordogli di Stato, nessun minuto di silenzio. Eppure sono l’effetto diretto di un sistema che antepone il profitto alla vita, che considera sacrificabile tutto ciò che non produce valore immediato: l’ambiente, la salute, il corpo operaio.
Serve una rottura. Serve rivendicare il diritto a vivere, non solo a sopravvivere. Serve che i sindacati escano dall’ambiguità, che le istituzioni si assumano la responsabilità politica di proteggere i più esposti. E serve anche che noi, come cittadini e consumatori, impariamo a riconoscere la nostra parte. Ordinare una pizza alle 14 o alle 21 durante un’ondata di calore non è un atto neutro: è una scelta che ha un impatto reale sulla pelle di qualcun altro.
Il cambiamento climatico non è solo un dramma ecologico. È una lotta di classe. Chi ha il potere si isola con l’aria condizionata, chi non ce l’ha muore nei cantieri. Se non agiamo ora – con rabbia, con lucidità, con solidarietà – ci troveremo a piangere ancora. Ma sarà troppo tardi.