A Falerna, in Calabria, un uomo è morto davanti alla guardia medica chiusa.
È successo davvero. Non in una serie TV. Qui, da noi. Nel 2025.
E no, non è una fatalità. Non è “la sfortuna”. Non è “il destino”. È una vergogna. È una condanna firmata da anni di menefreghismo istituzionale, da tagli alla cieca, da una politica sanitaria che ha preferito far quadrare i conti invece che salvare vite.
E adesso?
Adesso che facciamo? Lo piangiamo per due giorni? Facciamo un post indignato, mettiamo la bandiera a lutto e poi torniamo a lamentarci del traffico su Facebook?
Non possiamo più accettare che si muoia così. In silenzio, nell’indifferenza. Non possiamo più far finta di niente, come se queste morti fossero solo statistiche o titoli di passaggio. Perché la verità è che questo sistema sanitario sta uccidendo, ogni giorno. In Calabria, certo. Ma anche altrove. Ovunque lo Stato abbia smesso di esserci.
Pensaci un secondo. Se fosse successo a te, alla tua famiglia, a chi ami?
Ti sembrerebbe ancora una notizia come le altre?
Perché questo è il punto: ci siamo abituati. Ci siamo abituati al degrado, alla rassegnazione, alle stanze d’ospedale che sembrano uscite dagli anni ‘70, ai pronto soccorso come trincee, ai medici costretti a fare turni disumani mentre i manager sanitari si fanno le foto inaugurando l’ennesimo nulla.
Ci hanno convinti che “così va il mondo”. Che “i soldi non ci sono”. Ma i soldi per le consulenze, per gli appalti agli amici, per le strutture private che prosperano sulle macerie del pubblico… quelli sì che ci sono sempre, vero?
Il problema non è solo il sistema. Siamo anche noi.
Sì, può dire senza mezzi termini.
Siamo anche noi il problema.
Noi che non ci incazziamo più. Che ci limitiamo a commentare sotto ai post con “che schifo” e poi ci rimettiamo in fila, zitti, al CUP.
Noi che abbiamo smesso di pretendere.
Perché la sanità pubblica non è un favore. Non è un privilegio. È un diritto costituzionale. Ma un diritto che non si difende, marcisce. E quando marcisce, uccide.
Abbiamo bisogno di un sussulto. Di un moto di dignità.
Perché questa non è più solo una questione sanitaria. È una questione morale. È la misura di quanto contiamo, noi cittadini, per chi prende decisioni ogni giorno. E finché continuiamo a restare zitti, contiamo zero.
Quell’uomo morto a Falerna non deve essere l’ennesimo nome dimenticato. Deve essere il punto di rottura. Il momento in cui diciamo basta, sul serio.
Basta ambulanze fantasma.
Basta ospedali senza medici.
Basta tagli, basta scuse, basta menzogne.
Basta morire di Stato.