In una nostra precedente riflessione, abbiamo analizzato il disagio psichico, spesso trattato dalla psichiatria come un’entità autonoma e indipendente dal contesto socio-culturale in cui si manifesta. Oggi vogliamo approfondire un aspetto specifico: il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO).
Il TSO rappresenta una delle misure più dibattute nell’ambito della psichiatria e dei diritti individuali. Introdotto per garantire cure a persone in grave stato di alterazione psichica che rifiutano il trattamento necessario, si colloca in un delicato equilibrio tra la tutela della salute pubblica e il rispetto della libertà personale. La sua natura coercitiva solleva interrogativi sulla possibilità che esso diventi non solo un atto di cura, ma anche un mezzo di repressione istituzionale.
Nella provincia di Cosenza, esistono tre presidi sanitari che accolgono pazienti psichiatrici: gli ospedali di Cosenza, Cetraro e Corigliano. Inoltre, la clinica privata Villa Verde offre solo ricoveri ordinari. Complessivamente, vi sono circa 20 posti per pazienti in fase acuta, mentre gli altri dovrebbero essere seguiti dai Centri di Salute Mentale. Attualmente, la provincia riesce a soddisfare circa il 50% delle richieste di assistenza. I dati mostrano un aumento dei ricoveri tra i giovani (19-21 anni), spesso per disturbi della personalità.
Un ricovero per TSO ha una durata di sette giorni. I pazienti vengono prelevati con la forza dai luoghi in cui si trovano, spesso senza poter portare con sé effetti personali e allontanati in modo coatto dagli affetti familiari. La carenza di strutture e posti riservati all’emergenza psichiatrica comporta, nella migliore delle ipotesi, il trasferimento nei presidi della provincia; nella maggior parte dei casi, però, i pazienti vengono trasferiti in altre province o addirittura fuori regione, a centinaia di chilometri di distanza.
Al momento delle dimissioni, il paziente si trova spesso in una condizione di assoluta precarietà, privo di risorse economiche e in un contesto sconosciuto. In assenza di familiari che possano occuparsene, il rientro autonomo diventa problematico. In questi casi, i servizi sociali del Comune di residenza dovrebbero intervenire, ma risultano spesso assenti.
Il TSO, regolato in Italia dalla legge 180 del 1978 (nota come legge Basaglia), prevede che venga disposto solo con il parere di due medici e con la convalida del sindaco, per evitare abusi. Tuttavia, nella pratica, la sua applicazione solleva preoccupazioni.
Vi è il timore che il TSO possa trasformarsi in uno strumento di controllo sociale, colpendo in particolare individui ai margini della società. Senza un’adeguata tutela giuridica e sociale, il rischio di abusi diventa concreto, specialmente quando la valutazione della pericolosità della persona è soggettiva o influenzata da pregiudizi culturali e sociali.
Uno dei temi centrali del dibattito riguarda il confine tra il diritto alla cura e la violazione dell’autodeterminazione dell’individuo. La psichiatria moderna ha messo in discussione la concezione paternalistica della medicina, sottolineando l’importanza del consenso informato e della volontarietà del trattamento. Tuttavia, il TSO si configura come un’imposizione, spesso vissuta come una violenza da chi lo subisce.
Molti pazienti che hanno sperimentato il TSO denunciano esperienze di umiliazione e privazione della dignità, aggravate da pratiche come la contenzione fisica o farmacologica forzata. Questi episodi evidenziano la necessità di un approccio più umano e rispettoso, che privilegi il dialogo e la costruzione di percorsi di cura condivisi piuttosto che la coercizione.
Alla luce delle criticità sollevate, è possibile individuare alternative al TSO che consentano di conciliare il diritto alla cura con il rispetto dell’autonomia individuale? Vediamone alcune:
- Interventi precoci e territoriali: potenziare i servizi di salute mentale sul territorio per intervenire prima che una crisi degeneri al punto da rendere necessario un TSO.
- Strumenti di supporto sociale: promuovere il coinvolgimento delle famiglie, delle associazioni e dei pazienti stessi nella gestione delle proprie cure, riducendo la percezione di isolamento.
- Modelli di trattamento volontario assistito: prevedere misure di assistenza intensiva che evitino il ricorso alla coercizione e incentivino il consenso ai trattamenti.
- Maggior controllo e trasparenza nei casi di TSO: garantire che ogni trattamento obbligatorio venga monitorato da organi indipendenti per prevenire abusi e garantire il rispetto dei diritti umani.
Il TSO è un istituto giuridico e sanitario che pone questioni etiche e sociali di grande rilevanza. Se da un lato può essere considerato necessario in situazioni di emergenza, dall’altro non può diventare una soluzione sistematica alla mancanza di politiche efficaci di salute mentale. È fondamentale ripensare il modello psichiatrico, adottando soluzioni che rispettino la dignità dell’individuo e promuovano percorsi di cura condivisi e non coercitivi. Solo attraverso un equilibrio tra tutela e autodeterminazione sarà possibile garantire una vera giustizia sociale nel trattamento delle fragilità psichiche.