STRETTO DI MESSINA Società e costruttore vogliono partire senza avere il progetto esecutivo. Intanto, come sempre, si sottraggono risorse a Sicilia e Calabria. Brindano tecnici e lobbisti.
In un mondo normale la telenovela del Ponte sullo Stretto di Messina, resuscitato da Salvini, si dovrebbe fermare alle soglie della fase “esecutiva” ancora una volta. Se non lo facesse, si realizzerebbe infatti un caso clamoroso di “abusivismo di Stato”. Sull’opera infatti gravano enormi problemi tecnici di costruibilità, carenze e irregolarità di ordine giuridico e gestionale – perfino peggiorate con gli ultimi atti – puntualmente messe in luce in esposti, denunce, ricorsi e impugnazioni, presentate da soggetti diversi, dalle associazioni ambientaliste fino a diversi Comuni dell’area coinvolta.
Gli allegati agli atti citati hanno tra l’altro fornito ulteriori conferme sul fatto che, nel caso del Ponte, e in altri progetti di particolare complessità ingegneristica, prima dell’approvazione del progetto esecutivo non si possono avviare neppure i lavori preliminari. È un aspetto fondamentale, visto che la Stretto di Messina spa, la società pubblica incaricata di realizzare l’opera – costruita dal consorzio privato Eurolink –vorrebbe almeno avviare le opere “di c o nt o r n o ” grazie alla possibilità di procedere “per fasi esecutive” concessa da Salvini per decreto nonostante le critiche, specie dell ’Autorità anticorruzione. Vale la pena ricordare che esiste una prescrizione normativa del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, sempre confermata dal Cipe – l’organo di programmazione economica antecedente all ’attuale Cipess – che aveva dichiarato già nel febbraio 1999, a fronte di decreti di semplificazione di opere pubbliche, e ribadito nel novembre 2002, proprio a fronte della Legge Obiettivo, ancora cogente nel caso del Ponte, che non si può procedere in alcun modo senza l’approvazione di un progetto esecutivo completo. La situazione è, per certi versi, inquietante. Proprio il bando di gara per il Ponte, pubblicato nel 2004, conferma l’impossibilità di poter procedere “per fasi esecutive” proprio per l’esistenza della norma citata, nonché in ragione delle normative europee e nazionali. Nel 2012 lo stesso governo Monti obbligò il concessionario, tra le altre cose, a presentare il progetto esecutivo pe na l’annullamento di tutto il programma, cosa che ovviamente non avvenne portando alla rescissione del contratto con Eurolink. Siamo di fronte alle ennesime, enormi, falle di un progetto che fa acqua da tutte le parti. I decreti improvvisati, che stanno contrassegnando l’attuale fase, sono spesso in aperto contrasto con normative-quadro nazionali e leggi comunitarie. Servono solo a perpetuare per qualche tempo la propaganda, destinate a restare evidentemente sulla carta, decadute o abbandonate. Parliamo peraltro di un progetto su cui gravano pesanti dubbi sull’effettiva realizzabilità espressi dai massimi consessi scientifici internazionali di Tecnica delle Costruzioni. E che non riguardano solo le condizioni sismotettoniche dello Stretto, ma gli elementi strutturali del manufatto. In tale quadro di incertezze, lacune progettuali e rischi palesi, si vorrebbe aprire la fase esecutiva, mentre si avvia il relativo progetto. Questa scelta costituirebbe un abuso, che permetterebbe però un bel salto di qualità (e soprattutto di quantità) nelle spese. I diritti tecnici del progetto esecutivo sono infatti pari a circa il 15% del costo totale che ad oggi ammonta a 14,6 miliardi di euro. Parliamo quindi di oltre due miliardi di spese solo progettuali, che si aggiungerebbero ai 300 milioni già spesi in oltre un cinquantennio di vita della Stretto di Messina. Risorse sempre sottratte alle emergenze del Sud.
Oggi Salvini ha deciso di perpetuare il saccheggio prelevando le risorse dal Fondo di sviluppo e coesione (per l’8 0% vincolato al Meridione), in parte proprio sulla quota destinata a Sicilia e Calabria. In passato sono state sottratte, specie alle due Regioni coinvolte, risorse da fondi Fas, Pon e di Programmazione regionale, nazionale e comunitaria , cancellando progetti importantissimi, anche di ristrutturazione o completamento di infrastrutture necessarie e decisive o di risanamento del territorio, indispensabile oggi di fronte alle ricadute della crisi ambientale in due Regioni tra le più a rischio per siccità e incendi o per dissesti e alluvioni da precipitazioni concentrate.
Dalla Legge Obiettivo in poi, la figurina del Ponte non si è limitata solo a coprire il “nulla”dei vari governi per Sicilia e Calabria, ma è diventato un diabolico meccanismo di sottrazione di risorse: congelate per le compatibilità di bilancio del Ponte, anche se non spese (a parte la propaganda e la gestione della società), non sono mai state restituite alle Regioni interessate. Il tutto con la complicità subalterna delle relative dirigenze politico-istituzionali.
Le “miserabili classi dirigenti del Me z z o g i o n o ” di cui parlava Guido Dorso oltre un secolo fa.
LA MANOVRA SACCHEGGIA ANCORA L’FSC.
Nell’ultima manovra appena approvata, Matteo Salvini è riuscito a far aumentare di 2 miliardi lo stanziamento per l’opera con un emendamento portandolo da 11,6 a 13,6 miliardi. Buona parte d e l l’aumento arriva saccheggiando brutalmente il Fondo di Sviluppo e Coesione (per l’80% vincolato al Sud) che perde circa 6 miliardi, 1,6 dalla quota spettante a Calabria e Sicilia; ma a pagare sono anche Comuni che perdono 1,5 miliardi di fondi per la manutenzione delle strade.