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“Pace perpetua”: la menzogna che copre la colonizzazione perpetua

Ci chiamano a credere nella “pace perpetua”. È il mantra che Trump, Netanyahu e il loro vecchio alleato Blair cercano di imporre al mondo con il nuovo “piano di pace” in 19 punti. Ma basta grattare la superficie per capire che non è pace, è il vecchio progetto coloniale mascherato da trattativa.

Netanyahu lo ha detto chiaro: nessun riconoscimento dello Stato di Palestina, nessun abbandono della Striscia di Gaza. Parole che cancellano ogni illusione: il futuro che propongono non è di convivenza, ma di sottomissione.

E a rafforzare la sceneggiata, ecco Tony Blair. L’uomo che inventò le menzogne sulle armi di distruzione di massa in Iraq. L’uomo che ha portato la sua firma sulla morte di duecentomila civili, sul caos che ancora oggi devasta il Medio Oriente. Questo sarebbe il garante di una pace giusta? No: è il volto della complicità occidentale con ogni guerra utile al dominio.

Il cosiddetto piano di pace non è altro che l’ennesima trappola. Un meccanismo pensato per perpetuare l’occupazione, normalizzare l’apartheid, cancellare i diritti del popolo palestinese e ridurli a comparse senza voce dentro un teatro scritto a Washington e Tel Aviv.

“Pace perpetua” significa in realtà colonizzazione perpetua. Significa che i checkpoint restano, i bombardamenti restano, i coloni restano, i campi profughi restano. Significa che a un popolo viene negato il diritto a vivere libero, mentre l’Occidente applaude e stringe mani insanguinate.

Non c’è pace senza giustizia. Non c’è pace senza Palestina libera. Questo è il messaggio che dobbiamo gridare, perché ogni silenzio diventa complicità, ogni neutralità diventa sostegno all’oppressore.

Il piano di Trump, Netanyahu e Blair non è il nostro piano. Il nostro piano si chiama resistenza, autodeterminazione, libertà.


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