Ci avevamo creduto. Ci eravamo illusi che questa volta la Calabria potesse cambiare passo, che potesse finalmente scegliere una figura capace di rappresentarla davvero. Invece no. Ancora una volta la decisione è arrivata dall’alto, dalle segreterie romane, da quel sistema dei partiti che continua a trattare la nostra terra come una colonia elettorale.
Il nome scelto è quello di Pasquale Tridico, ex presidente dell’INPS. Certo, conosciuto al Sud per il Reddito di cittadinanza, ma davvero basta questo per governare una regione che muore di sanità allo sbando, di giovani costretti a scappare, di infrastrutture mai realizzate? Questa non è alternativa, è l’ennesima foglia di fico, il solito volto “prestigioso” tirato fuori per salvare la faccia di un sistema marcio.
Dall’altra parte, Roberto Occhiuto: il regista di un consenso clientelare costruito sulla complicità con i potenti della sanità privata e su promesse mai mantenute. Occhiuto ha fallito, eppure si prepara a rivincere. Perché? Perché il campo avverso non è stato in grado – o non ha voluto – offrire un’alternativa vera.
In queste ore si sente ripetere ovunque: “adesso bisogna lavorare uniti”. Ma che significa davvero questa unità? Se l’unità si riduce a un collage di candidature deboli o imposte dall’alto, allora non è una forza, è una condanna. Non basta sventolare la parola “unità” per coprire il vuoto di idee e la mancanza di radicamento: senza un progetto reale, senza volti credibili, l’unità diventa solo una giustificazione per perpetuare lo stesso sistema che ha fallito.
E allora la domanda brucia: ma i calabresi quando potranno scegliere da soli chi li rappresenta? Quando potremo liberarci dall’imposizione dei partiti e delle loro alchimie? Esistono figure sui territori, sindaci e amministratori che ogni giorno combattono con coraggio. Penso a Flavio Stasi, sindaco di Corigliano-Rossano: una figura che incarna un modello diverso, libero da padrini, radicato tra la gente. Ma di queste esperienze la politica dei partiti non vuole sapere nulla: sono scomode, perché non si piegano.
Il risultato è che ancora una volta siamo davanti a una partita truccata: da un lato il vecchio clientelismo, dall’altro la candidatura calata dall’alto. E la Calabria rimane ferma, ostaggio di interessi che non ci appartengono.
Eppure la verità è semplice: se non spezziamo questo meccanismo, non cambierà mai nulla. Servono scelte che nascano dal basso, senza compromessi, senza pacchetti di voti, senza padroni romani che ci dicono chi dobbiamo votare. La Calabria deve alzare la testa, deve dire basta a questo gioco sporco.
Non è più tempo di illusioni. È tempo di ribellarsi al ricatto dei partiti. O decidiamo noi, o continueranno a decidere per noi.