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Difendere Piazza Cappello: Gli alberi non si tagliano, le comunità si ascoltano

La riqualificazione di Piazza Cappello a Cosenza non è solo un progetto urbano: è un banco di prova per il rapporto tra amministrazione e cittadini. È innegabile che la messa in sicurezza e la cura degli spazi pubblici siano necessità concrete, soprattutto in zone attraversate quotidianamente da studenti, famiglie e residenti. Ma attenzione: riqualificare non significa cancellare l’identità di un luogo.

In quella piazza ci sono alberi secolari, custodi silenziosi di memorie collettive e oasi verdi che, per decenni, hanno offerto ombra, sollievo e bellezza. Sono parte del paesaggio, ma anche della vita quotidiana. Non si può pensare di ridisegnare uno spazio senza tener conto della sua anima, che in questo caso ha radici profonde, letteralmente.

Negli scorsi giorni, una foto diffusa a corredo del progetto ha sollevato interrogativi legittimi: spariti gli alberi, al loro posto una spianata arida e geometrica, l’ennesima “riqualificazione” che somiglia più a un’omologazione. L’amministrazione ha precisato che l’immagine non rappresenta il progetto definitivo. Bene, ma i dubbi restano. Troppe volte abbiamo visto spazi verdi trasformati in piazze di cemento in nome della “modernità”, senza un vero processo partecipativo.

C’è una lezione che dovremmo aver imparato: i soldi pubblici non si spendono per fare “qualcosa”, ma per fare “meglio”. E meglio significa ascoltare chi in quei luoghi vive, studia, cammina. Meglio significa preservare ciò che è prezioso, come gli alberi centenari, e integrare il nuovo con il vecchio, senza distruggere l’equilibrio esistente.

Le comunità devono avere voce nei processi decisionali. Un progetto urbano senza partecipazione è un atto autoritario, non amministrativo. Cosenza ha già conosciuto, in passato, scelte che hanno portato alla desertificazione di parti importanti della città. Non possiamo permettere che questo si ripeta.

Difendere gli alberi di Piazza Cappello non è nostalgia, è visione. È chiedere che le città restino vivibili, umane, giuste. È pretendere che i fondi pubblici servano a un futuro che abbia radici, ombra e respiro.


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