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Gaza e il fallimento morale dell’Occidente

Non ci sono più alibi. Nessuna cortina diplomatica, nessun linguaggio tecnico, nessuna “preoccupazione espressa” dalle cancellerie occidentali può più nascondere la realtà: ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza è una tragedia umanitaria che assume ogni giorno di più i contorni di un vero e proprio genocidio deliberato.

Lo ha detto lo stesso Benjamin Netanyahu, premier israeliano, in una recente audizione davanti alla Commissione Affari esteri e difesa della Knesset: “Stiamo distruggendo sempre più case a Gaza e i palestinesi non hanno più un posto dove andare.” Non si tratta di un errore strategico, non di un “effetto collaterale” della guerra. È un progetto, una visione, una dichiarazione d’intenti.

Quando la distruzione di abitazioni civili non è solo un effetto della guerra ma un obiettivo esplicitamente perseguito, allora non si parla più di difesa: si parla di spopolamento, di cancellazione forzata di una presenza umana. In altre parole, pulizia etnica. Il termine è duro, spietato, carico di storia. Ma oggi è necessario. Perché ciò che è in corso a Gaza non può più essere raccontato con mezzi termini.

E allora viene da chiedersi: dov’è l’Occidente? Dove sono le potenze democratiche, le paladine dei diritti umani, che da mesi si limitano a raccomandazioni vuote, a risoluzioni senza conseguenze, a un sostegno incondizionato che di fatto legittima e arma la distruzione?

Non è più sufficiente nascondersi dietro la retorica del diritto di Israele a difendersi  Ma nessuno Stato ha diritto alla vendetta sistematica. Nessuno Stato ha diritto di affamare un popolo, di bombardare ospedali, di cancellare interi quartieri, di sfollare milioni di persone in uno spazio già ridotto all’osso, senza possibilità di fuga, senza rifugi, senza futuro.

Il silenzio occidentale – o peggio, la complicità – rappresenta un fallimento morale storico. La storia non giudicherà con indulgenza questa passività colpevole. Gaza sta diventando il simbolo di un mondo che ha perso l’equilibrio tra sicurezza e giustizia, tra autodifesa e rispetto della vita umana.

Il tempo delle ambiguità è finito. Chi resta in silenzio oggi, sarà complice domani. E il prezzo sarà pagato non solo dal popolo palestinese, ma da tutti coloro che avranno permesso che questa catastrofe si compisse senza intervenire, senza parlare, senza denunciare.

Serve un cessate il fuoco immediato, ma soprattutto serve un cambiamento radicale di paradigma. L’Occidente deve scegliere: continuare a essere spettatore di una tragedia annunciata o rialzare la testa e difendere davvero quei valori che proclama da sempre.

Perché la credibilità della civiltà democratica si misura anche e soprattutto nella capacità di dire “basta” quando la Storia chiama.


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