Il 10 maggio resterà inciso nella memoria collettiva come una data spartiacque per la Calabria. Non solo per la forza con cui cittadini e cittadine hanno affollato la Piazza Prefettura di Catanzaro, ma per ciò che quella folla ha rappresentato: un popolo che non accetta più il silenzio, che non si rassegna alla disumanizzazione della sanità pubblica.
In piazza non c’erano solo corpi, ma coscienze. Anziani, giovani, lavoratori e soprattutto donne: tante, determinate, commosse. La loro voce si è levata alta, chiara, senza più paura. Hanno chiesto rispetto, dignità, vita. Hanno dato nome e volto ai troppi morti silenziosi, vittime di un sistema sanitario abbandonato a logiche di bilancio, commissariamenti infiniti e inefficienze programmate.
Quella del 10 maggio non è stata l’ennesima protesta, ma una vera e propria rinascita civica. Quando i cittadini scendono in piazza per difendere un diritto fondamentale come quello alla salute, stanno esercitando il più alto dei poteri democratici: il diritto alla partecipazione. Un diritto che, in territori spesso marginalizzati come il nostro, è anche una forma di cura. Perché manifestare è curare le ferite della disillusione, della solitudine, dell’impotenza. È un atto di amore collettivo.
La sanità non può essere una questione solo tecnica o burocratica. È una questione di giustizia, di uguaglianza, di umanità. E la voce della piazza ha detto chiaramente che non si può più accettare una sanità che ignora la persona, che non ascolta il malato, che abbandona i territori.
Da oggi in poi, nessuno potrà più dire “non lo sapevo”. Il muro dell’indifferenza è stato rotto. Ora tocca alla politica rispondere. Ma anche a noi, cittadini, mantenere viva questa energia. Perché la vera cura comincia proprio da qui: dalla consapevolezza che partecipare è già trasformare.
Immaginate una Calabria dove curarsi non sia un privilegio , ma un diritto. Quel futuro non è un sogno: è una promessa. E oggi, quella promessa la facciamo insieme.
Grazie a chi c’era.