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Lavorare per vivere, non vivere per lavorare

In questo Primo Maggio 2025, l’Italia si ferma per celebrare la festa dei lavoratori. Ma la domanda vera è: cosa c’è da celebrare? Le piazze si riempiono di musica e parole, ma nei luoghi di lavoro — reali, spesso invisibili — si continua a vivere una quotidianità fatta di precarietà, sfruttamento e diritti negati.

Il precariato non è più un’eccezione, ma la normalità. Milioni di persone, soprattutto giovani e donne, sono costrette a vivere nell’incertezza: contratti a tempo determinato, finte partite IVA, lavoro in nero o stage eterni. Il mito della “flessibilità” ha prodotto solo insicurezza, e oggi chi lavora non ha più la garanzia di potersi costruire una vita stabile.

I salari sono fermi, le disuguaglianze aumentano. L’Italia è uno dei pochi Paesi europei dove, negli ultimi trent’anni, gli stipendi medi sono diminuiti in termini reali. Le donne continuano a guadagnare meno degli uomini, le madri sono penalizzate e le lavoratrici troppo spesso discriminate. Gli over 50 vengono scartati perché “non più competitivi”, mentre le nuove generazioni sono spremute e ricattate.

Serve un cambio di paradigma. Non basta parlare di lavoro: bisogna parlare di lavoro giusto. E oggi una delle battaglie più urgenti e concrete è quella per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.
Non è un’utopia, è una necessità: lavorare meno, lavorare meglio, per vivere di più. In un’epoca in cui la produttività cresce grazie alla tecnologia, è inaccettabile che si continui a chiedere ai lavoratori di sacrificare salute, tempo e vita privata.
Ridurre l’orario di lavoro significa redistribuire il tempo, abbattere lo stress, creare nuovi posti di lavoro e favorire l’equilibrio tra vita e lavoro. È una battaglia di civiltà che altri Paesi stanno già sperimentando: l’Italia non può restare indietro.

Ma c’è un aspetto ancora più tragico: la sicurezza sul lavoro. Nel 2024, sono stati più di 1.000 i lavoratori morti mentre svolgevano il proprio dovere. Cantieri, fabbriche, campi, magazzini: ogni luogo può diventare una trappola mortale quando la sicurezza è vista come un costo anziché un diritto.
Le morti bianche non sono incidenti imprevedibili. Sono conseguenze dirette di mancati controlli, tagli alla prevenzione, appalti al ribasso, impunità per chi viola le regole. E chi tace di fronte a tutto questo, chi chiude gli occhi, è complice.

Il lavoro è un diritto, non una concessione. È il fondamento su cui si basa la nostra Costituzione. Eppure, nel dibattito pubblico, la voce dei lavoratori è sempre più flebile, mentre le esigenze del mercato e delle imprese dominano la scena. È ora di cambiare rotta. Serve una nuova stagione di lotte, tutele, investimenti, e soprattutto di dignità.

Perché chi sfrutta il lavoro, distrugge la dignità. Chi ignora le morti sul lavoro, si rende complice. Questo Primo Maggio non è solo una ricorrenza: deve essere  un grido. E deve diventare una rivolta di dignità.

 


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