Nel giro di sole 24 ore, due giovani studentesse universitarie di 22 anni sono state uccise in Italia dai loro ex partner. Un dato tragico che si aggiunge agli altri nove femminicidi registrati nei primi tre mesi del 2025. Numeri che ci ricordano, con una brutalità insopportabile, che la violenza di genere è un’emergenza strutturale del nostro Paese. Eppure, di fronte a questa drammatica realtà, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha scelto di spostare il discorso su un altro piano, attribuendo il problema all’etnia degli aggressori: “Giovani e adulti di certe etnie non hanno la nostra sensibilità verso le donne”, ha dichiarato giovedì mattina.
Il fenomeno del femminicidio non è una questione di provenienza geografica, bensì di cultura patriarcale e disuguaglianze strutturali. Cercare una spiegazione etnica a un problema così radicato rischia di distogliere l’attenzione dalle vere cause e dalle responsabilità di un intero sistema che continua a fallire nel proteggere le donne.
Secondo i dati ISTAT e delle associazioni che monitorano la violenza di genere, la maggioranza dei femminicidi in Italia viene commessa da uomini italiani. La violenza contro le donne non ha passaporto, così come non lo ha il patriarcato, che permea molte culture nel mondo, compresa la nostra. I dati dimostrano che il femminicidio non è un problema importato, ma una tragedia profondamente italiana.
Indirizzare l’attenzione sulle “altre culture” alimenta una narrativa divisiva che non affronta la questione alla radice. Una simile strategia comunicativa rischia di deresponsabilizzare la società italiana e le istituzioni, che invece dovrebbero impegnarsi con urgenza nella prevenzione della violenza di genere attraverso l’educazione, la protezione delle vittime e una giustizia efficace.
Demonizzare determinate etnie può anche avere conseguenze pericolose: sposta il dibattito dalla necessità di contrastare la violenza di genere alla costruzione di un nemico esterno, rendendo ancora più difficile un’azione concreta e sistematica per la prevenzione del fenomeno.
Se vogliamo davvero combattere il femminicidio, dobbiamo partire dalla cultura. Serve un’educazione affettiva e sessuale nelle scuole, un sistema giuridico che garantisca protezione alle vittime e pene certe per gli aggressori, una comunicazione pubblica che smetta di minimizzare o giustificare questi crimini .
Le istituzioni devono smettere di usare la violenza di genere come strumento politico e assumersi la responsabilità di contrastarla con misure concrete. Solo così potremo costruire una società in cui le donne non debbano più temere per la loro vita, indipendentemente dalla loro nazionalità o da quella dei loro carnefici.