Come associazione Yairaiha, facciamo un appello accorato alla società civile: non abdichiamo al senso di umanità e non dimentichiamo i principi su cui si fonda il nostro vivere democratico. Esprimiamo innanzitutto la nostra vicinanza al dolore della madre e del padre della piccola, vittime inconsapevoli di una società malata che genera azioni deplorevoli e ingiustificabili. Proprio per questo, non possiamo permetterci di abbandonare l’umanità, il rispetto della dignità e il criterio rieducativo che rappresentano il cuore del nostro ordinamento giuridico. La capacità di una società di rimanere fedele ai propri valori si misura nei momenti di difficoltà, quando è più forte la tentazione di cedere al rancore e all’odio.
Oggi, più che mai, dobbiamo essere vigili e uniti per costruire un futuro in cui giustizia e umanità camminino fianco a fianco. La vicenda del rapimento della piccola Sofia a Cosenza ha scosso e continua a scuotere profondamente l’opinione pubblica, sollevando questioni che vanno ben oltre il singolo caso. Ma in un momento in cui l’emotività rischia di sopraffare la razionalità, è cruciale ribadire che la nostra società deve restare ancorata ai principi democratici e alla centralità del diritto. La giustizia non può mai cedere al pregiudizio, né tantomeno all’indifferenza verso il valore della dignità umana.
Rosa Vespa, attualmente in stato di arresto, rappresenta un caso emblematico di quanto sia necessario uno sguardo che coniughi giustizia e umanità. Per quanto gravi siano le accuse a suo carico, tutto lascerebbe pensare che la sua azione ingiustificabile possa essere il frutto di un disagio profondo, forse legato a una condizione psichica compromessa. Se così fosse, sarebbe imperativo che le venga garantito un percorso di assistenza adeguato. Un percorso che non sia solo un obbligo giuridico, ma un gesto di responsabilità morale che rifletta la capacità dello Stato di rispondere alla sofferenza con umanità.
Il diritto alle cure si erge oggi più che mai come un pilastro imprescindibile di una società autenticamente civile. I disagi psichici e psichiatrici, sempre più diffusi, sono il riflesso di un mondo che spesso si dimostra incapace di accogliere e accompagnare. Viviamo in una società che spinge alla solitudine, che frammenta le relazioni e trascura il bisogno profondo di comunità e solidarietà. In questo scenario, come ci ricorda Papa Francesco, “la vera misura dell’umanità si trova essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e con chi soffre”. Ogni persona, anche quando sbaglia, ha diritto alla cura e alla possibilità di riscatto.
La pena, infatti, non deve mai essere intesa come mera vendetta o segregazione. Al contrario, il carcere è chiamato a essere un luogo di recupero, un ambiente che permetta alla persona di riscoprire il proprio ruolo nella società. Non è soltanto nell’interesse di chi è ristretto, ma anche di chi vive al di fuori delle mura carcerarie: un domani, Rosa Vespa e altre persone come lei usciranno. A quel punto, dovranno poter tornare a essere cittadini in grado di contribuire al bene comune. Fallire in questo compito significa minare la sicurezza e la coesione della nostra comunità. Ma come possiamo parlare di recupero quando le condizioni carcerarie sono spesso disumane? Le nostre carceri, troppo spesso sovraffollate e inadeguate, rappresentano un ulteriore fattore di sofferenza. I suicidi tra la popolazione detenuta sono in crescita esponenziale, segnale di un sistema che non cura, ma abbandona. Questa realtà deve essere affrontata con urgenza e determinazione, per restituire dignità a chi vive all’interno delle strutture penitenziarie.
La storia di Acqua Moses al di là del legame che li unisce si intreccia con quella di Rosa nel ricordarci che il pregiudizio, in tutte le sue forme, è un nemico della giustizia. Nonostante il clamore mediatico e le insinuazioni razziste che hanno accompagnato la sua vicenda, la giustizia ha dimostrato di poter correggere gli errori. La sua estraneità ai fatti è stata riconosciuta, riaffermando il principio cardine della presunzione di innocenza. Tuttavia, il clamore attorno al suo arresto e alla sua scarcerazione evidenzia quanto sia urgente riformare una narrazione pubblica che troppo spesso alimenta lo stigma e la discriminazione. La vicenda di Moses ci ricorda che ogni errore giudiziario non è solo un fallimento del sistema, ma una ferita che colpisce l’intera società.
Non possiamo voltare lo sguardo di fronte alle sofferenze che si consumano quotidianamente all’interno delle carceri. La storia di tanti detenuti e di tante detenute ci ricorda che dietro ogni persona privata della libertà c’è una vita spesso segnata da dolore, esclusione e disagio. Un sistema penitenziario che si limiti a punire senza curare tradisce i suoi scopi e alimenta l’alienazione, rendendo il ritorno alla società ancora più difficile. Le condizioni di detenzione, l’accesso a cure sanitarie adeguate e la possibilità di percorsi rieducativi efficaci non sono concessioni, ma diritti inalienabili. E sono anche una garanzia per la sicurezza e la civiltà di tutti noi.
Per Adesioni e-mail yairaiha@gmail.com
“Giustizia e Umanità: Un Appello per una Società più Civile e Solidale”
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