La recente adesione di figure di spicco come Mark Zuckerberg al sostegno di leader politici polarizzanti come Donald Trump, seguita alla simile presa di posizione di Jeff Bezos, segna un momento storico che non può essere ignorato. Questa dinamica rappresenta molto più di una semplice alleanza di convenienza tra potenti del settore tecnologico e il potere politico. Si tratta di un segnale inquietante della trasformazione del capitalismo delle piattaforme in qualcosa di più oscuro: un fascismo delle piattaforme.
Il capitalismo delle piattaforme è nato come promessa di innovazione, connessione globale e accesso democratico a beni e servizi. Tuttavia, questa promessa è stata tradita dalla realtà di colossi tecnologici che concentrano un potere economico e sociale senza precedenti. Lungi dall’essere arbitri neutrali, le piattaforme digitali sono diventate attori politici attivi, capaci di influenzare elezioni, orientare opinioni pubbliche e rafforzare disuguaglianze economiche.
Con il sostegno esplicito a leader come Trump, queste piattaforme dimostrano di essere pronte a mettere le loro risorse al servizio di progetti politici autoritari. Ciò non avviene per mero calcolo economico, ma per una convergenza ideologica: il fascismo delle piattaforme non è solo una metafora, ma un sistema in cui il potere tecnocratico si fonde con l’autorità politica per decostruire i meccanismi democratici.
Le piattaforme hanno saputo conquistare la società civile non solo attraverso la comodità dei loro servizi, ma anche con una narrazione seduttiva che le presenta come indispensabili per il progresso. Tuttavia, dietro questa facciata si nasconde un progetto più sinistro: trasformare i cittadini in consumatori passivi, manipolabili attraverso algoritmi che privilegiano la polarizzazione e l’adesione a narrazioni semplicistiche.
Questa strategia non si limita al consumo. Attraverso politiche di lavoro precarie e invasive, le piattaforme reclutano una forza lavoro allucinata e asservita, spinta a inseguire obiettivi irraggiungibili in un contesto di sorveglianza pervasiva. Il lavoratore non è più un soggetto autonomo, ma un ingranaggio in una macchina progettata per massimizzare i profitti e il controllo.
Il pericolo più grande del fascismo delle piattaforme è la sua capacità di gettare le fondamenta di un sistema oligarchico. Grazie alla loro influenza sui dati, sulla comunicazione e sull’economia, i giganti tecnologici possono plasmare una società dove il potere è concentrato in poche mani, rendendo vana ogni aspirazione democratica. In questo contesto, la politica tradizionale diventa un mero strumento nelle mani di chi controlla i flussi digitali.
Di fronte a questa minaccia, è necessario un risveglio collettivo. Non si tratta di rimpiangere un passato idealizzato, ma di riprendere il controllo del nostro futuro. Bisogna attrezzarsi per affrontare questa sfida, adottando strategie di sabotaggio e costruendo alternative al dominio delle piattaforme.
La partita tra dominio e sabotaggio è ancora aperta.