Il referendum sulla proposta di fusione dei tre comuni ha segnato una netta vittoria del fronte del “No”, ribaltando le previsioni che, fino a poche settimane prima, davano per favorito il “Sì”.
La campagna a sostegno della fusione sembrava avere tutti gli ingredienti per il successo: il sostegno trasversale dei principali partiti – da Fratelli d’Italia al Partito Democratico, passando per Forza Italia e AVS – e una narrazione incentrata su promesse di efficienza amministrativa, semplificazione burocratica e maggiore capacità di attrarre risorse. Tuttavia, dietro lo slogan del progresso, molti cittadini hanno intravisto un rischio concreto: un progetto orientato più agli interessi economici e speculativi che al reale benessere delle comunità locali.
Un No che parla di identità e autodeterminazione
La vittoria del “No” non si limita a essere un risultato numerico: è un’affermazione simbolica, una rivincita delle comunità locali contro un sistema percepito come distante, spesso incline a imporre dall’alto decisioni cruciali. Questo voto è stato, in realtà, un grido per riaffermare un principio fondamentale: il diritto di decidere il proprio destino, senza compromessi e con la consapevolezza di chi conosce le radici del proprio territorio e ha chiara la direzione verso cui vuole andare.
Il messaggio è cristallino: non bastano promesse di efficienza o risparmi, né slogan ben confezionati, manifesti accattivanti o endorsement partitici. I cittadini chiedono una politica autentica, capace di dialogare, ascoltare e interpretare le loro paure, speranze e necessità quotidiane.
Un riflesso di una politica disconnessa
Questo referendum ha agito come uno specchio, rivelando con nitidezza una politica sempre più scollegata dalla realtà vissuta dalle persone. Il voto, oltre a bocciare la fusione, ha evidenziato una frattura tra le istituzioni e le comunità che dovrebbe preoccupare chiunque abbia a cuore il futuro della democrazia partecipativa.
Ma la vittoria del “No” non deve essere interpretata come un rifiuto del cambiamento. Al contrario, rappresenta una richiesta urgente di un cambiamento diverso, che parta dall’ascolto e dal rispetto per le voci di chi abita quei territori.
Costruire il futuro: dalle promesse all’azione
Con la vittoria del “No” si apre ora una nuova fase, ricca di responsabilità. È il momento di ricostruire il rapporto con i cittadini, non limitandosi a coinvolgerli in momenti straordinari come un referendum, ma rendendoli protagonisti attivi nelle decisioni quotidiane.
Questo significa promuovere strumenti di partecipazione reale: assemblee cittadine, tavoli di lavoro con associazioni locali e momenti di confronto continuo. La trasparenza non può essere solo un principio evocato, ma una pratica costante. La partecipazione non può rimanere uno slogan: va costruita con cura, pazienza e costanza.
Un’opportunità per ripensare il cambiamento
Da questo “No” può nascere un nuovo inizio. È un’opportunità per immaginare un cambiamento che non cali dall’alto, ma che germogli dal basso, radicato nei bisogni e nelle ambizioni delle comunità locali.
Non è un punto d’arrivo, ma l’inizio di un percorso che richiede coesione, impegno e spirito di collaborazione. I problemi quotidiani – dalle infrastrutture ai servizi pubblici – non possono più aspettare e devono essere affrontati insieme, con un approccio solidale e inclusivo.
Questa vittoria non è il trionfo di un rifiuto, ma la prova che un altro modo di fare politica è possibile: uno che metta al centro l’ascolto, la partecipazione e il rispetto per chi vive e costruisce ogni giorno il futuro dei propri territori.