La Conferenza delle Parti sul Clima, giunta alla sua 29ª edizione, doveva essere un momento cruciale per il futuro del pianeta. Con un decennio appena iniziato e segnato da eventi climatici estremi sempre più frequenti, le aspettative erano alte: azioni concrete, impegni ambiziosi, una svolta decisiva per mantenere vivo l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C. Invece, gli accordi della COP29 sembrano segnare un passo indietro, un lusso che oggi non possiamo permetterci.
L’élite fossile al centro della scena
Le decisioni prese alla COP29 hanno mostrato, ancora una volta, l’influenza schiacciante delle élite economiche legate all’industria fossile. I negoziati, caratterizzati da compromessi al ribasso e veti incrociati, hanno privilegiato gli interessi immediati di governi e aziende rispetto alla necessità di affrontare con urgenza la crisi climatica.
È significativo come i sussidi ai combustibili fossili non solo non siano stati eliminati, ma abbiano ricevuto ulteriori deroghe, mentre le proposte per una transizione energetica globale equa sono rimaste vaghe e prive di vincoli obbligatori.
Chi paga il prezzo del fallimento?
Questo passo indietro pesa soprattutto sulle nazioni e comunità più vulnerabili, che sono le meno responsabili delle emissioni globali ma le più colpite dai suoi effetti. I Paesi del Sud globale, già messi in ginocchio da eventi climatici devastanti, si trovano nuovamente relegati ai margini delle decisioni, nonostante abbiano chiesto a gran voce maggiori finanziamenti per l’adattamento e la resilienza.
Il tanto discusso “Fondo per Perdite e Danni” rimane sottofinanziato e privo di un chiaro piano operativo. Nel frattempo, popolazioni intere affrontano disastri climatici che aggravano povertà, fame e instabilità sociale.
Un’occasione persa per azioni concrete
Le promesse di neutralità carbonica entro la metà del secolo sono rimaste, per molti Paesi, slogan vuoti. La riduzione delle emissioni di metano, una misura considerata fondamentale dagli scienziati per guadagnare tempo nella lotta al riscaldamento globale, non ha trovato spazio tra gli impegni concreti. Al contrario, l’attenzione è stata distolta da iniziative urgenti, come la transizione verso energie rinnovabili e l’abbandono graduale dell’estrazione di petrolio e gas.
La necessità di una mobilitazione globale
Le conseguenze di questo arretramento non sono solo climatiche, ma anche politiche e sociali. Ogni COP è un’occasione per riaffermare la cooperazione internazionale e dare voce a chi lotta per un futuro sostenibile. La COP29 ha invece mostrato che le divisioni globali restano profonde, e che il cambiamento non può arrivare solo dai tavoli negoziali.
Occorre una mobilitazione collettiva e una pressione costante da parte della società civile, dei giovani attivisti e delle comunità locali per invertire questa rotta e richiedere maggiore ambizione e responsabilità ai leader globali.
Il tempo per evitare il collasso climatico si sta esaurendo, ma le decisioni della COP29 sembrano voler accelerare la caduta. Continuare a sacrificare il futuro del pianeta per il profitto immediato è un errore che peserà per generazioni. È necessario un cambio di paradigma, che metta al centro la giustizia climatica e la salvaguardia delle vite umane, piuttosto che gli interessi di pochi.
L’umanità si trova a un bivio: o sceglie il coraggio di agire ora, o accetta il peso di un disastro annunciato.